recensioni dischi
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BEN CHATWIN  "The hum"
   (2020 )

Il sesto disco di Ben Chatwin, appena uscito per Village Green Recording, è un’avvolgente tenda di suoni che si lascia muovere dal vento invernale, con la finestra spalancata di fronte a un panorama di abeti innevati. Chatwin ha avuto l’ispirazione, quando ha attaccato il suo Moog alla presa di corrente di casa sua: un edificio del diciannovesimo secolo. La casa comunicava i suoi fantasmi, e da quelli Ben ha sviluppato “The Hum”: il ronzio. In otto brani siamo circondati dall’aria, come lo saremmo anche senza la musica: ma Ben ci fa percepire quei suoni che normalmente non sentiremmo, in quanto infrarossi o ultrasuoni. Chatwin per fortuna si concentra soprattutto sui gravi infrarossi, i suoni sotto i 50 Hz, non su quelli acutissimi, se no sai che mal di testa! Al contrario, a partire da “Transmission” le tempie sono letteralmente massaggiate da suoni ariosi, che poi con l’attivazione del “Transistor” si lasciano plasmare dalla corrente elettrica, rendendo l’onda quadra. Il tutto accompagnato da battiti moderati ma costanti. La drone music inizia con “Creep strain” e “Snow crash”, due brani legati dalla stessa costruzione: ci sono i cori di Kirsten Norrie, inseriti (“seppelliti”) nel mix, sostenuti da un bordone continuo. Il noise e il Moog sono anche sublimati dagli archi di Pete Harvey, che poi tornerà anche nei brani successivi. C’è un certo gusto drammatico: la tonalità è sempre minore, e le distese armoniche ricordano lo Zimmer degli ultimi anni (senza quel tamarro “brammmm”). Chatwin riversa in digitale musicassette cancellate, nelle quali si sentono echi nascosti delle registrazioni precedenti. Questo si sente in “War of the ants”, “guerra delle formiche”, titolo che evoca bene i fruscii dei nastri. L’incedere è sempre emotivamente forte, e si stabilizza in “Interference”, dove la curiosità cade su un tambureggiare in alluminio. Una voce parla da un trasmettitore disturbato all’inizio della titletrack, poi i rumori della casa iniziano a dialogare col Moog, tra arpeggi in loop e trasformazioni costanti del suono. Infine siamo avvolti dai bassi tipici dello strumento, con “Ghost in the machine”. Quasi tutti i musicisti con la sensibilità ambient sono affascinati dal ronzio della corrente, e Ben ha trasformato questo fascino in musica fruibile da tutti, per condividere questo incanto. (Gilberto Ongaro)