recensioni dischi
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DIE ZUCHT  "Heimatlied"
   (2020 )

Ogni giorno, dalla caduta del Muro di Berlino, veniamo a scoprire un tassello alla volta di quanto sia stato oppressivo il regime sovietico. Nella DDR anche le band dovevano passare il vaglio censorio, per non essere bollate come band illegali, e i Die Zucht non scapparono a tale destino. Il nome è metà dell’espressione “Zucht und Ordnung”, cioè “Law and Order”, legge e ordine. Ma a noi italiani il senso si palesa di più se traduciamo con “Ordine e disciplina”. Ecco, capite che un rimando così palese all’autoritarismo non poteva essere accettato, sotto il controllo dell’URSS. E quindi nel 1985 la band dovette cambiare il proprio nome in Die Art. L’album “Heimatlied” è uscito a gennaio 2020 (per l'etichetta Major Label), ma si tratta di canzoni eseguite dal vivo in quegli anni; su YouTube si trovano degli audio dei concerti del 1984. Si sente la differenza d’arrangiamento, il perfezionamento in studio, ma lo spirito resta intatto, è un post punk ispirato ai Joy Division e ai Cure, cantato in tedesco con voce cavernosa. A partire dalla titletrack, sentiamo poi la distorsione satura in “Schutt und Asche” su ritmo spedito, mentre “Chrome” è più cadenzato e quasi doom. Una marcia militare apre “Zucht und Ordnung”, canzone emblematica del gruppo. Il ritmo di marcia viene contraddetto dal diverso ritmo della batteria, e il basso effettato restituisce un clima malsano. La seconda parte è sonoramente più frizzante, e la voce si scatena. Si continua a ritmo serrato in “Endlos”, che recupera delle tipiche sonorità industrial mitteleuropee. Un riff di basso è il motore principale di “Irrlichter”, che significa “fuochi fatui”. Fuochi fatui visti nella capitale, nella danza della notte. Un elemento di morte ma in un certo senso spirituale. Poi si torna duri e puri col Cavaliere del cielo (“Himmelblauer Reiter”). “Manche Tage” ricorda un po’ i Sex Pistols, per quella scivolata di semitono nelle chitarre (come in “God save the queen”). “Abwarts” e “Nameless Song” proseguono la loro corsa marziale, mentre “Im Spiegel meiner Traume” chiude con un tempo moderato, per parole che riflettono… allo specchio. “Im Spiegel meiner Traume sehe ich dein Gesicht”: nello specchio dei miei sogni vedo il tuo viso. Testimonianza importante, questa dei Die Zucht, per rivivere a distanza il fermento di quegli anni nella Germania Est; ma anche per ascoltare un po’ di sano post punk proveniente dai suoni anni verdi! (Gilberto Ongaro)