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L'ALBERO  "Solo al sole"
   (2021 )

Il mondo di Andrea Mastropietro è fatto di suoni soffici di tastiera, chitarre acustiche, e suggestioni britpop e del cantautorato italiano. Un felice connubio che prende il nome de “L’Albero”. L’album “Solo al sole” ci porta in un mondo sonoro senza tempo, che mostra l’esigenza di un’elevazione spirituale pur osservando la realtà, e questo porta spesso alla soluzione psichedelica. Diverse canzoni ospitano la lap steel guitar, e assoli di sassofono degni di Bowie. Ma anche il flauto traverso, il mandolino nello strumentale “Noia e illuminazione”; c’è una varietà timbrica, diluita dall’onnipresenza del synth, trascendente “all’inglese”. La titletrack “Solo al sole” inizia con delle scale d’organo che fanno subito pensare all’eleganza compositiva di Battiato, e anche le parole ne ricordano l’approccio (ma non la voce, più chiara, meno solenne). “Io che mi trovo a rinascere. Vita nuova dalla cenere. Oggi la mia città è come uno zombie, pieno di mostri, non ho scampo. Oggi, con la tua stupida allegria io voglio fare a cambio”. “Dalida” è dedicata a un amore, ma non so se siano proprio complimenti: “Ciao amore ciao, eri come Dalida, pura estetica come in quel festival”. La “Cenere” accennata prima diventa titolo, e qui si distingue tra il vuoto mistico e la celebrazione del vuoto mentale: “Glorificare il nulla non è meglio di nulla. I pensieri adesso stanno in fondo al letto”. “Quando viene sera” sembra implicitamente riferirsi all’attualità più stretta (anche se questi tempi fanno pensare che ogni parola si riferisca alle nostre costrizioni): “Certi cambiamenti portano lacrime, a volte io non voglio più esser me (…) Tieni al tempo ora?”. Il desiderio di superarsi è sempre presente, anche in “Oh mia diletta!”: “E lasciati andare, dicevi sopra gli occhi miei, è così bello provare, andare oltre quello che ora sei”. Lo stesso dicasi per la voglia di fuga di “Volo 573”, dove Andrea si immagina un aereo che lo venga a prendere direttamente al bar: “Volo cinque sette tre che parti per l'oceano, prendi me, io non resisto più, voglio tuffarmi dentro il blu. Ti aspetto qui al bar, la porta degli arrivi si aprirà, io non resisto più”. “Vengo a prenderti” invece si distacca dalla follia contemporanea: “In questo momento tutti urlano, a me non importa, questo tempo è stupido”. Se non bastava l’aereo, guardiamo pure il satellite in “Tutto ok”: “Quanti buchi sulla luna, io mi ci tufferei”. Per chiudere con una risposta sbrigativa: “Sì è ok, tutto ok, tutto ok”. Il secondo strumentale, “Il mattino ha l’oro in bocca”, è contornato da uccellini e percussioni da Anima Latina. Infine “Parlami di te” verte su un dialogo e un appuntamento, con tutte le goffaggini degli insicuri: “Alle sette al parco, lì ti aspetto. Cercami laggiù la fontana ed il blu, nella serra poi ti troverò, e tutto il resto io lo so, o non lo so. Perché il futuro non l'ho mai vissuto, appartiene solo a chi è sicuro. E tu non porti mai le sciarpe, e io faccio troppe domande”. Quello che spicca in ogni caso è sempre quest’atmosfera incantata. L’Albero porta un tipo di musica di cui abbiamo fortemente bisogno, proprio adesso! (Gilberto Ongaro)