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CANIO LOGUERCIO  "Ci stiamo preparando al meglio"
   (2021 )

Sesto album in carriera, brillante sfoggio di cultura popolare intriso di sentimento e passionalità offerti in una veste affatto desueta, “Ci stiamo preparando al meglio”, di nuovo su etichetta Squilibri, segna il ritorno di Canio Loguercio a quattro anni abbondanti da “Canti, ballate e ipocondrie d’ammore”, opera corposa che gli valse importante riconoscimento e meritata esposizione.

Lucano di nascita, napoletano di adozione e di elezione, lavora fin dagli esordi sull’interessante connubio tra una mai celata devozione alla tradizione ed un crooning intimo e vagamente oscuro che prende le distanze dai più riconoscibili canoni interpretativi del folklore partenopeo.

Con la partecipazione di numerosi ospiti e collaboratori (molte le voci femminili), dà vita a dieci tracce intense e palpitanti, frementi e vivide, dall’up-tempo à la Max Gazzè della title-track in apertura al flamenco di “Chissà cos’è” – tra Mannarino e Tonino Carotone – fino alla briosa frenesia di “Core ‘e plastica”, passando per il teso dramma di “Tienimi forte le mani”.

Apprezzabile l’allure melodrammatica di “Luntano ammore”, brano del 2014 riproposto in una limpida versione a due voci con Flo, così come le quattro cover prescelte. “Incontro” di Francesco Guccini – rivitalizzata da un arrangiamento che le conferisce una dimensione piacevolmente attuale - è sussurrata in un baritono lievemente arrochito à la Cohen, mentre “Quando vedrete il mio caro amore”, portata al successo da Donatella Moretti quasi mezzo secolo fa, conserva intatta la sua desolata, sfuggente grazia.

Completano il quadro due classici intramontabili della canzone napoletana riletti – operazione affatto semplice, quando ci si confronta con brani totemici – in fogge così inusuali da sembrare altrettante novelties: magari i puristi storceranno il naso al cospetto delle derive moderniste di “Core ‘ngrato” e di “Lacreme napulitane”, per l’occasione ribattezzata “Mia cara madre”, ma la rivisitazione funziona e riveste entrambi gli episodi di un fascino suadente. Canzoni-simbolo, quasi un messaggio che fa dell’universalità la propria ragion d’essere, inno alla speranza capace di suggellare con personalità un disco sincero e vissuto. (Manuel Maverna)