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MOLTHENI  "Senza eredità"
   (2021 )

Umberto Maria Giardini ritorna a pubblicare un nuovo album con il suo nome d’arte Moltheni: probabilmente sentiva l’esigenza di riempire un tassello del precedente percorso artistico. Anche se, in realtà, le nuove canzoni dell’album “Senza eredità”, che son quelle che erano rimaste irrealizzate, sono state recuperate e sistemate, e infatti risentono dell’evoluzione stilistica, fatta sotto il nome di battesimo. La batteria resta quasi sempre soffice, gli arrangiamenti sono ancora più tenui di prima, mentre la voce è mantenuta molto dentro il mix, non spicca tantissimo, come a volersi nascondere tra le tessiture di chitarra, per sentirsi più a suo agio mentre sonda impressioni molto intime. “La mia libertà” è un bel pop d’autore, con tanto di orchestra che ripete il tema del ritornello prima della fine. E Moltheni sembra rimproverare le colpe dell’adolescenza (tanto per citarlo): “Eravamo tutti un poco ingenui, e poco attenti nel digrignare i denti”. In un 3/4, “Ieri” insiste sulla nostalgia, osservando lo spazio e prendendo atto dei propri tempi: “La mia grande città non è veleno ma bibita (…) la mia verità cammina piano”. Moltheni torna ai suoi 15 anni con “Estate 1983”, dove tra tranquilli arpeggi di chitarra acustica emergono ricordi non proprio da bravo ragazzo, ma guardati con tenerezza: “Andare in bicicletta fino a tarda notte, urlare frasi sciocche (…) tirare uova dentro le auto ferme con i finestrini aperti, il chinotto al limone, scappavamo in comune”. Dalla malinconia acustica ci si dà un po’ di sprint con “Se puoi, ardi per me”, sempre con gentilezza. Quinta canzone nella scaletta dell’LP è “Il quinto malumore”, unica dove la batteria si scalda un po’, e l’autore parla di una donna fatale, che fa male e di cui vorrebbe liberarsi, ma è troppo attraente con la sua “porno schiena”: “Con quella faccia riesci a riciclare questo amore”. “Ester” invece torna soave nei sentimenti: “Convincerò un milione di gabbiani per capire quanto mi ami (…) Chiudi le porte, metti un lucchetto al cuore poi butta la chiave”. Testo molto implicito quello di “Nere geometrie paterne”: “Il cervello fuggì in bicicletta, ma una ruota è forata (…) geometrie come lame lucenti che permisero alla bocca di digrignare i denti nel vederti qui, aumentare il mare con le mie lacrime, usare guanti bianchi per toccarti (…) girare il piede timido dentro al mio sandalo. Cominciò in un inverno glaciale il mio netto distacco da te”. “Spavaldo” indugia nella malinconia con un’ironia nascosta: “Perderemo treni, quelli rotti che deraglieranno senza freni, privi di biglietto e di un cuore finto con un battito perfetto. Come me lo dirai ora? Con le mani dentro al petto”. La breve “Sai mantenere un segreto?” può essere un manifesto generazionale: “Torni dal lavoro e come me, fai a meno di parlare, fai fatica anche a guardare in faccia la tua vita. Torni a ricercare dentro te chi ti ha tolto quei colori, disciplina dell'umore in piena notte”. “Il mio tempo” dichiara la volontà di vivere la propria vita senza controllare i giudizi altrui, ma sembra che il partner sia cambiato: “Ti vergogni di me, ti vergogni di noi, di chi ci guarda baciarci quando ti riaccompagno in macchina. Me ne frego perché non ho tempo da perdere (…) Ti ricordi perché correvamo tra gli alberi, mi domando con quale coraggio lo facevi con me (…) Cattedrale d'argento con un appuntamento con il mio tempo”. Ed infine, come un sequel di questo pezzo, l’album si chiude con “Tutte quelle cose che non ho fatto in tempo a dirti”: “Meritavamo di più (…) Ora non dormo di certo, ho quintali di marmo nel letto, me li hai portati tu, ti fidi? Arrivavi, guidavi la gru. Privilegiati perché noi, schiavi di quella follia, che abitava abusiva in un appartamento della mente mia”. L’ultimo verso è ripetuto più volte fino a sfumare con la musica. Questo album–appartamento della mente di Moltheni è decorato con piccoli quadri che erano rimasti in soffitta, rispolverati, e arricchiscono un arredamento già presente, completando l’accogliente casa sonora. Chi la erediterà? Chi vuole abitare le emozioni. (Gilberto Ongaro)