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AMERIGO VERARDI  "Il sogno di Maila"
   (2021 )

Con tre decenni e mezzo di carriera, cosa si può chiedere ancora all’estroso artista brindisino Amerigo Verardi? Ancora tanto, signori! Mai domo di scavare nelle sette note per ricavarne il miglior humus evolutivo, la linfa prorompente di una crescita lapalissiana, sotto gli occhi di chi lo conosce già e di coloro che ringrazieranno il cielo per averlo scoperto. Un “visionario” dello spartito, capace di rivoluzionare, in modo credibile, allestimenti sonori poco lineari, intrisi di sfaccettature a dir poco eclettiche, che sanno stimolare molte più fantasie di altri, che lasciano l’orecchio inzuppato in una catarsi uditiva che affascina senza tempo, in un bagliore esperienziale lontano da qualsiasi tentativo di dargli un nome, un volto, un accostamento, un’identità. Sì, d’accordo, qualche coordinata ve la daremo, tanto per farvi uscire da labirintici giudizi. Nel nuovo album “Il sogno di Maila” si odono echi di psych, rock, ambient, ma con un’insieme che gioca il fattore sorpresa, con un’unica traccia srotolata in modalità Cd ed in quattro facciate in versione vinilica. Poco cambia, tanto il fine è quello di non assassinare la pergamena scritturale con soste, stacchi o skip. Sarebbe come far sanguinare il sound quando chiede di essere lasciato integro nel suo meraviglioso fluire senza ferirlo con sciagurati stop. Ed allora, da “Maila mantra” a “Ritorno alle stelle” ingollate quasi 150 minuti di fascinose distese ardite e risalite, con la ferma convinzione che, sul lettore, stia viaggiando un treno elitario, per orecchie da prima classe, accarezzati da echi di quel “diamante pazzo” di Syd Barrett, della psichedelia dei primi Floyd o dell’eccentrico Julian Cope, ma quel che conta è l’empatia avvolgente di un disco che disarma con l’incanto a presa rapida, che Amerigo ama continuare a darci dai tempi del precedente masterpiece “Hippie dixit”, che lasciò tutti di stucco, per bellezza e ampiezza progettuale. “Il sogno di Maila” concentra spaccati , passaggi e sensazioni di vita (se vogliamo) normali, di una protagonista che espande il suo mistero di traccia in traccia, sempre in bilico tra l’immanente e l’astrazione di pensiero. Un concept inafferrabile per certi aspetti e per altri concretamente accomunanti, che sarà di forte stimolo per nuovi sperimentatori che osano intraprendere percorsi ambiziosi ma non presuntuosi, visionari ma sempre con l’umiltà in tasca, come insegna Amerigo. Già leader degli Allison Run, Betty’s Blues e Lula, Verardi ci insegna che la sua espressione successiva come solista, doveva per forza di cosa staccarsi dai collettivi, per liberarla con maggiori picchi di naturale estro, quadratura innovativa e talento opalino. Un artista che trova il senso creativo solo se supera sé stesso in ogni nuova occasione. (Max Casali)