recensioni dischi
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KOSMOS  "Ajan Peili"
   (2021 )

Il nuovo album dei Kosmos è vestito dalla seta del mellotron, suono surreale per antonomasia, che ci trasporta nello “specchio del tempo”, che poi è esattamente la traduzione del titolo finlandese “Ajan Peili”. Siamo a conoscenza di questa formazione tramite l’etichetta Lizard Records, che accoglie nel suo catalogo il loro quinto lavoro, che inizia con la titletrack. Mellotron e chitarra acustica creano un’atmosfera sospesa, sulla quale la voce femminile canta le poesie filosofiche di Olli Valtonen. Dopo questo incanto iniziale, si può partire con “Eilinen”, dove si avviano anche batteria e basso. Canzone luminosa con assolo di violino, mentre un filo di malinconia, derivata dall’introspezione, si raggiunge con “Lapsen Uni”. Qui la chitarra è raggiunta da alcune note di organo. Questo psych-folk ha una connotazione mistica. E in “Aina Làhellà” viene battuta una percussione con degli armonici simili a quelli del darbuka. Qui sorprendono le note gravi di un vibrafono, ipnotizzanti. “Kohti Taivasta” ha un’introduzione da ipnosi “indiana” (per quelle corde strofinate e riverberanti), ma poi procede con un ritmo accattivante di sola chitarra. Con “Salainen Oppi”, dopo uno scuro pianoforte, ritorna la magia del mellotron, corroborata dal sassofono. La melodia cantata passa sulla scala minore armonica, che poi sarà passata come staffetta agli strumenti, fino ad approdare all’organo da cappella, che sfuma. Ritorna l’ipnosi “indiana” (oh, non so come definirla, oggi non mi vengono le parole, scusate), e una voce maschile parla calma. Siamo poi abbandonati ad inquietanti distese di armonie in tensione, mai risolutive. Ma siamo poi riconciliati dall’inizio di “Minà Olen”, con rassicuranti arpeggi di chitarra acustica, e la camomilla del mellotron che ormai conosciamo. Dopo due minuti però, un vento ci porta alla chitarra elettrica e alla ripartenza della batteria (a basso volume), ed a gotici cori di tastiera. Il sogno si fa agitato, ma sempre ipnotico, fino a sfumare. Lo specchio del tempo in un suono senza tempo, questo è il morbido cosmo dei Kosmos. (Gilberto Ongaro)