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KHAN  "Space shanty"
   (1972 )

Forse non molti conoscono questo gruppo né tanto meno il loro unico album uscito nel 1972 per l’etichetta Decca/Deram. Da fervente appassionato del cosiddetto Canterbury Sound, cercai questo gioiello per diverso tempo dato che per anni non fu ristampato né in vinile né in CD. Trovai infine la “mia copia” di ''Space Shanty'' in formato LP facendo il solito giro tra i vari mercatini del disco da collezione. Lo pagai caruccio ricordo, ben 80 mila lire ed eravamo nel 1998, ma ne valse la pena; copia originale, stampa inglese, ottime condizioni sia della copertina che del vinile. Ed il contenuto! Una meraviglia, tanto che successivamente mi comprai anche la versione in CD, finalmente edita sul mercato ad onore di un album magnificamente intrigante.

Peraltro la sorte di molti album di quel periodo - il migliore per la musica Rock, gli anni della raggiunta maturità - è purtroppo quella di sparire nel limbo, e se non spariscono del tutto ciò accade sicuramente per lunghi periodi, così lunghi che talvolta certe squisite perle vengono del tutto dimenticate. Soltanto la passione e un certosino lavoro di ricerca possono far tornare alla mente ed alla luce opere di immenso valore artistico altrimenti irrimediabilmente perse, affogate nel mare della mediocrità imperante, conseguenza diretta di un’industria discografica sempre più in preda all’isterismo da fatturato. L’album dei Khan merita più di un’attenzione se non altro per la presenza nel gruppo (ad onor del vero dovremmo chiamarlo supergruppo) di due talentuosi musicisti, Steve Hillage alle chitarre e Dave Stewart alle tastiere, che qui hanno modo di concepire il loro capolavoro. Dopo l’intensa esperienza degli Egg, Dave Stewart incontra nel 1972 il vecchio amico Steve gia compagno di avventure musicali nella band degli Uriel, il quale gli propone di entrare a far parte del progetto Khan e di incidere un album il cui materiale è già quasi pronto.

Verso la fine di Maggio dello stesso anno il disco viene pubblicato dalla Deram e vede la partecipazione di Nick Greenwood al basso, già con il Crazy World Of Arthur Brown di Eric Peachey alla batteria. L’album si apre con ''Space Shanty'' ed è subito magia. Un inizio quasi in sordina (con chitarra e tastiere che espongono i loro punti di vista sul tema principale) prelude a improvvisi cambi di umore pilotati da soluzioni ritmiche veloci ed incalzanti. Sorretti da solide fondamenta si stagliano all’orizzonte bizzarri edifici sonori dall’estetica vagamente esotica.

Segue ''Stranded'', caratterizzata da un’atmosfera sospesa ed impalpabile e da un canto accorato, quasi una supplica, una preghiera, che ben presto viene inghiottita da un caleidoscopico multicromatismo di suoni e note deliziosamente tratteggiato dalle liquide tastiere di Stewart e dai soli alla sei corde di uno Steve Hillage ai massimi livelli.

Con la successiva ''Mixed Up Man Of The Mountain'' il gruppo ci trasporta in quel di Canterbury con sonorità che si avvalgono di un dinamismo prorompente, soluzioni che saranno successivamente riprese dai Camel nel loro capolavoro ''Rain Dance''. I gorgheggi delle tastiere che qui sembrano suonate da David Sinclair (Caravan), un po’ freak e psichedeliche, si spengono lentamente per lasciare il posto ad un agile jazzismo interpretato alla perfezione dai quattro musicisti qui particolarmente ispirati. E’ ancora Canterbury a farla da padrone in ''Drawing To Amsterdam'', dove il jazz viene “trasfigurato” ed arricchito da mille colori e pazzie sonore un po’ sullo stile dei migliori Caravan, mantenendo comunque, Hillage e compagni, una personalità espressiva decisa ed originale. E non poteva essere altrimenti, l’affiatamento e l’intesa tra Steve Hillage e Dave Stewart va oltre la perfezione tanto che i due si possono permettere il lusso di cimentarsi in brani dall’architettura compositiva assai complessa ed articolata, come nella migliore tradizione Progressive.

L’introduzione di ''Stargazer'' ci riporta la mente ai migliori episodi di Yes, E.L.& P. e King Crimson, anche se ben presto il brano sconfina nella genialoide pazzia espressiva e nel “freakettismo” tipico dei Gong, gruppo anglo/francese dove Hillage approderà successivamente. Dominata da un pregevole ritmo sincopato, la song si arricchisce di un assolo alla chitarra di Steve Hillage bellissimo e coinvolgente, da brivido e da manuale nello stesso tempo. L’album si chiude in bellezza con ''Hollow Stone'', epica song sorretta da una musica mistica e surreale che sembra provenire dalle misteriose profondità dello spazio infinito. Sospesa tra lo smarrimento cosmico alla Van Der Graaf Generator e la migliore tradizione melodica inglese, ''Hollow Stone'' rappresenta l’episodio migliore di un album del quale consiglio vivamente l’ascolto e che a questo punto definire superbo in ogni suo aspetto è impresa fin troppo facile. Il brano si chiude affidandosi ad un delirio dark dove le mille note di una chitarra distorta e seviziata spariscono come inghiottite da un gorgoglìo di suoni e di echi appartenenti ad un'altra dimensione.

''Space Shanty'' avrebbe dovuto avere un successore ma Hillage e Stewart non riuscirono ad allestire una nuova formazione dei Khan, così il tastierista entrò a far parte del gruppo Hatfield And The North ed il chitarrista fu chiamato alla corte di David Allen nei Gong. (Moreno Lenzi)