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CHIHEI HATAKEYAMA  "Late spring"
   (2021 )

In Late Spring il grande musicista giapponese dà vita a un album dalla natura umile e gentile che offre all’ascoltatore un viaggio di crescita interiore avvincente e trionfale fatto di incontri che segnano e arricchiscono.

Chihei Hatakeyama ritorna con Late Spring, un disco variegato e complesso (uscito per Gearbox Records) che concilia l’umanità con l’ambiente a essa circostante dando vita a paesaggi sonori che inducono alla riflessione e che conducono alla pace dei sensi. Si tratta di uno dei lavori a cui ha dedicato più tempo. Hatakeyama, infatti, è noto per essere un artista che compone e registra piuttosto rapidamente, percorso da un’ispirazione musaica fulminante e totalizzante. Anche per questo disco è stato così, ma la lavorazione che ha portato al suo completamento è durata più di due anni, un lasso di tempo per lui assolutamente da record.

Utilizzando nuovi amplificatori e sintetizzatori, Hatakeyama ha saputo rinnovare ulteriormente il suo suono. Late Spring va a localizzarsi all’interno di un genere, l’elettronica ambient, che è particolarmente aperto alle sperimentazioni. L’autore ha deciso di utilizzare un solo strumento per ogni composizione, così da concentrare l’attenzione di chi ascolta in un’unica direzione. Si tratta, però, di un percorso che si ramifica in maniera continua, di secondo in secondo, fino a formare un labirinto di echi e rimandi.

Dal 2006 a oggi, in oltre settanta album, Hatakeyama ha sempre ribadito che occorre mettersi in gioco ogni giorno. Late Spring prosegue in questa direzione. Nato, appunto, nella tarda primavera del 2018, l’album è composto da undici pezzi diretti e potenti, ciascuno in grado di dar vita a un suo personale universo. È il movimento circolare ad aver ispirato questo lavoro, e l’autore ha detto di aver guardato a Twin Peaks – The Return, la più recente stagione della leggendaria serie di David Lynch. Oltre a un unico brano composto nel dicembre ’17, tutti gli altri si collocano, appunto, tra 2018 e 2020, ma è stata la registrazione – non tanto la composizione – a essersi protratta nel tempo per scelta dell’autore. Un labor limae che è tipico di Hatakeyama ed è presente ovunque nella sua oeuvre, che si tratti di un disco inciso in due settimane o di uno inciso in due anni.

La musica è sempre di qualità eccelsa e riesce a costruire luoghi e spazi che non potrebbero esistere altrimenti. Le stalattiti sonore di “Spica” sembrano condurci in una grotta buia e profonda, mentre l’ambient rilassante e rasserenante di “Rain Funeral” sembra rispondere con stoicismo a qualsiasi tragedia possa verificarsi. Siamo di fronte a bozzetti preparatori che sono in realtà idee platoniche che il Demiurgo ha utilizzato per creare l’essenza stessa di questo genere. Ma con bozzetti non s’intenda qualcosa di incompiuto: non è certo così. Si tratta di basi di partenza attraverso cui l’ousia che vi è sottesa pare muoversi.

È il suono dell’aria, forse, che si muove silenzioso e indiscreto tra i solchi di questo progetto, il “Sound of Air”, composizione suddivisa in due pezzi, che include tante delle soluzioni artistiche più originali e affascinanti di Hatakeyama. Il rumore di una tempesta lontana. Il guardare al sicuro dentro la propria abitazione le onde del procelloso mare che schiantano navi con la fermezza del saggio, come scrive Lucrezio all’inizio del secondo libro del suo De Rerum Natura. C’è qualcosa di terribilmente terrificante e al tempo stesso piacevole in ciò. Hatakeyama non teme di esplorare questa sensazione ambigua e ovunque diffusa per far sì che la sua musica incida sulla contemporaneità. (Samuele Conficoni)