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LAURENT SAIET & GUESTS  "After the wave"
   (2021 )

“After the wave”, appena uscito per Trace Records, è un album che ti porta via con sé. Il compositore Laurent Saïet, partendo dal mellotron, concepisce un lavoro dai suoni levigati e portatori di un fascino sinistro.

Gli undici brani che compongono il disco sono inquieti, tesi, eppure distesi, nel senso ambient del termine. E la produzione è di una cura amorevole, è in stato di grazia. Come calibro di perfezione, vengono in mente “Intruder” o “Darkness” di Peter Gabriel. Titoli non a caso, quelli delle musiche più spaventose. Si ricerca spesso un’atmosfera onirica.

Con “Bypass”, Laurent ospita la voce di Edward Ka-Spel, che canta con lo stesso approccio ipnotico di Goldfrapp, dei tempi di “Utopia”. Ka-Spel torna anche in “From the rocks”, sopra un tappeto di pizzicato d’archi che poi si sviluppa. Un sax puntella qua e là gli arrangiamenti, spostando il confine tra post-rock e jazz, a volte con stile bowiano, come in “The first wave”, e a volte con note lunghe e solenni, come in “Solar eclipse”, sopra l’hammond, il basso e i tamburi. Ecco, a proposito di percussioni, alla batteria spicca parecchio Paul Percheron, molto creativo e dotato di firma personale.

“Lunar eclipse” mostra la passione per la varietà timbrica di Saïet: in cinque minuti e mezzo, si passa da percussioni programmate orientaleggianti (ricordano alcune pentole del gamelan), a un synth pulsante ed al mellotron che snocciola il suo potenziale orchestrale, mentre la chitarra con delay colora il clima. “Mambo of the 21st century” è effettivamente un mambo, suonato al pianoforte, ma le scelte armoniche lo rendono particolarmente surreale.

Continuiamo ad essere cullati dal mellotron in “The second wave”, mentre basso e batteria ci trascinano in un ritmo quasi da trip hop, accarezzato da un suono simile al clavinet. Ben Ritterl, altro ospite, ci fa immaginare parlando in “Lost in the highway”: “Imagine a highway without any cars, you should be able to play tennis”. Il parlato a tratti ironico, è annullato nel suo effetto simpatico dai suoni gravi e minacciosi.

“Hell ride” rende l’idea di una strada infernale, con tanto di chitarra elettrica distorta. La struttura, per certi versi ricorda “One of these days” dei Pink Floyd. Gocce elettroniche vibranti e chitarra ossessiva su armonia diminuita aprono “The third wave”, tutta costruita sui “diabolici” tritoni. Ed infine, la titletrack è la più lunga (poco più di 7 minuti), con archi allungati quasi come nella drone music.

Poche parole da aggiungere: “After the wave” è un lavoro curatissimo e originale, consigliato per chi vuole ascoltare musica di tipo… musicale, senza ulteriori etichette. Entusiasmante! (Gilberto Ongaro)