recensioni dischi
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ROCKETS  "Alienation"
   (2021 )

Nel mondo del rock non sono una rarità i dischi fantasma, ovvero quei lavori che, praticamente finiti e pronti per essere stampati, rimangono nel cassetto, tra vicissitudini con le case discografiche, ripensamenti degli autori o, ancora, misteri legati al mondo della musica.

Ebbene, un ghost album c’era anche per i Rockets, e non è un errore coniugare al passato il verbo, perché, da pochi giorni, “Alienation” riporta in auge lo storico gruppo di “Galactica” e “On the road again”.

L’operazione vede come protagonista Fabrice Quagliotti, ovvero l’unico membro originario, detentore del marchio e responsabile di restauro e missaggio. Questo “Alienation”, tuttavia, non vede la formazione attuale dei Rockets, ma quella storica dei primi ’80, con Le Bartz (voce), L’Her (basso e voce), Maratrat (chitarre), il già citato Quagliotti (tastiere e vocoder) e Groetzinger (batteria e percussioni).

Cronologicamente questo album ritrovato si dovrebbe far risalire al periodo tra “Galaxy” e “3,14”, registrato ai Decca Studio di Parigi e ai Rockland di Saint Souplet, tra la fine del 1980 e i primi mesi del 1981.

In edizione limitata con copie numerate, “Alienation” si presenta con una veste grafica degna dei migliori Rockets, attraverso una copertina realizzata da Victor Togliani, in grado di teletrasportarci in mondi fantascientifici.

E poi parte la musica dei Rockets, esattamente come ci aspettavamo che fosse un album con ancora freschissime le coordinate sonore del best seller “Galaxy”.

È space rock, quindi; quello bello, quello truzzo come poche band erano in grado di fare, quello in grado di farti godere la musica, senza tirartela troppo, o filosofeggiando con proclami da un pulpito immaginario.

“Non stop” e “Talk about” aprono amalgamando perfettamente chitarre e tastiere, c’è lo spazio per due strumentali (chiusura del lato A e B), per una “Sky invader” debitrice di un suono alla Devo; una “Skared” che, invece, suona come se i Rockets facessero i Clash (Space Clash, anche con venature funky).

Poi, ancora, una “Venus queen”, tra le migliori sul versante pop, che, senza preamboli, parte con ritornelli a presa immediata, la bellissima “Children of time” ed, infine, un medley di brani dal titolo "Collage".

È un disco dei Rockets. È un bel disco dei Rockets. Per fortuna non più ghost. (Gianmario Mattacheo)