recensioni dischi
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ELIZABETH S.  "Gather love"
   (2021 )

Nota per la sua lunga collaborazione con il duo Eyeless In Gaza, formato dal cantante (e marito) Martyn Bates e dal tastierista Peter Becker, Elizabeth S. debutta come solista per l’etichetta austriaca Klanggalerie con le dodici tracce di “Gather love”, cinquantuno minuti di palpitante afflizione memori di ascendenze blasonate e figli di un oscuro mood crepuscolare.

Su un tappeto di elettronica disturbata, l’agonizzante opener “Misborn” detta tempi e modi, vagando allucinata tra vocalizzi espressionisti, digradanti nell’arpeggio di chitarra in minore della successiva “Will your love”; intimo e garbato, l’album conserva intatta una grazia composta ed elegante che si insinua – talvolta infida, spesso conciliante – tra le maglie di brani essenziali arricchiti sia da una buona produzione sia da arrangiamenti che privilegiano atmosfere tra il confessionale (“The long farewell”) e l’irrequieto (“The carer”, su una dilatazione à la Talk Talk).

Il crooning profondo ed attoriale spazia da un piglio melodrammatico ad una fremente veemenza, quasi un David Tibet meno ieratico ma più incline ad intonare meste litanie, dolenti ed incupite. Benché sovraesposto ed eccentrico, il lavoro rimane paradossalmente riservato e confidenziale, in un continuo accostamento/sdoppiamento di personalità coinvolgente ed ubriacante.

Il timbro cavernoso di Elizabeth ben si sposa con queste arie sofferenti e contrite, che in una cornice volutamente scarna ed essenziale mantengono intatto un taglio spettrale, col fantasma di Nico ad aleggiare nella porzione di cielo tetro che le sovrasta.

Tra echi di Laurie Anderson (“The hill”) e Marianne Faithfull (“Wanderlove”), il canto è quasi sempre spinto al limite: gli accenni lirici in “The carter girl” cedono gradualmente il passo ad un larghetto accompagnato da note di piano lontane, mentre “Weathered life” assume le sembianze di una piece brechtiana dal retrogusto mitteleuropeo; su un’interpretazione che richiama perfino la Grace Jones più teatrale, la title track ondeggia su un mare di lievi disarmonie, preludio alle staffilate acide di “No rain” ed alla chiusa eterea di “To”, che cala il sipario su due minuti carichi di promesse e forieri di una consapevole, ineludibile malinconia. (Manuel Maverna)