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FRANCO BATTIATO  "Inneres auge"
   (2009 )

Quando era uscita "Povera patria", la classe politica applaudì convinta, fortunata nel proprio osservare che l'accusa era molto generica e quindi era facile, per ognuno, far capire che "sì, certo, ma non si riferisce a me". E il finale vedeva il Nostro che sperava ancora in un mondo migliore, benchè lontano alla venuta.

Ecco, "Inneres auge" fu molto meno digeribile dalla classe dirigente perché stavolta non è che si facessero nomi e cognomi, ma era chiaro chi fosse il bersaglio dell'accusa, e quindi alla sua azione corrispose la reazione dei chiamati in causa, con la famosa macchina del fango a criticarlo. Stolti e babbei, palesemente Battiato aveva indovinato, e il fatto che stavolta il finale della canzone fosse diverso faceva capire che pure lui aveva perso la speranza: se prima infatti, come detto, l'illusione rimaneva, stavolta il consiglio era quello di mandarli a spendere e cercare in altre forme d'arte una pulizia della propria anima.

Per il resto, l'album era una semiraccolta dove venivano riproposte versioni diverse di cose già uscite, dove Battiato si inimicava la Cina con l'invettiva "Tibet", dove l'altro inedito era il prezioso "'U cuntu", dove si trovava una cover di De Andrè ("Inverno") e dove la dimostrazione della perfezione del Nostro la si dimostrava in "Stage door": in un altro mondo sarebbe questa, e non "La cura", la sua Canzone con la C maiuscola.

Lui l'aveva infossata come b-side di "Shock in my town" per poi riprenderla, timidamente, in questo disco. Ecco, sentitela, e capirete perché per certe persone, lo scrivente in primis, qui non stiamo parlando di un artista ma di una divinità, almeno per quanto i mortali si possano meritare esseri superiori.

Non sarà una recensione canonica? Chissenefrega. Ad ogni modo, "Inneres auge" è un piccolo gioiellino da tenere con sé nei momenti cupi: se non vi tira su questo, allora siete senza speranza. (Enrico Faggiano)