recensioni dischi
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KRAFTWERK  "Radioactivity"
   (1975 )

Sgominata la platea, e diventati di colpo delle star mondiali malgrado una loro idiosincrasia alla folla e alla popolarità – certo, a quei tempi si divertivano anche, specie i Flur e i Bartos che facevano da corollario al synth duo – era ovvio che la seconda puntata sarebbe stata guardata con occhio famelico da parte di una platea diventata di colpo hyper robotica. E la nuova opera fu una nuova puntata: stavolta c’era anche cibo per chi non era riuscito a digerire le lunghe melodien del lavoro precedente, con un disco a dir poco frammentario, tra suoni di contatori geiger, intermezzi radiofonici, e – clamoroso! – anche dei testi. Tanto che, da questo “Radioactivity”, tutti i loro dischi sarebbero usciti sia in inglese che in tedesco, creando una comunità di proseliti pronti a tutto per avere le versioni originali teutoniche, convinti che i Krafwerk in inglese fossero una bestialità come la piadina alla nutella. Una concessione al commercio, insomma (ma ci saremmo poi divertiti, quando il quartetto avrebbe cantato anche in italiano, “sono l’operatore del minicalcolatore"). Dopo le macchine, la radio, con tanto di polemica perché sulla copertina era raffigurato un apparecchio in uso dai nazisti. “L’abbiamo trovata da un antiquario e ci era sembrata bella”, risposero: di tutto, in fondo, si poteva dire ai Kraftwerk, ma non che fossero nazi. Anche se furono gli unici, di quella frontiera di nuovo rock tedesco, a mantenere nome e identità made in Germany. Sintetizzatori a palla, con il gioiello ironico di “Ohm sweet ohm” a chiudere l’opera. Disumani, in tutti i sensi. (Enrico Faggiano)