recensioni dischi
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EUGENIO FINARDI  "Diesel"
   (1977 )

Questo album uscito nel lontano 1977 ritengo rappresenti in assoluto uno dei migliori esempi di Rock italiano tanto per l’autenticità dell’artista, allora impegnatissimo in contesti socio-cultural-politici, dei contenuti e nondimeno per il lato puramente musicale ed esecutivo.

La line-up è di tutto rispetto essendo affidato ai componenti del gruppo degli Area, sicuramente responsabili di quella atmosfera neanche tanto vagamente jazz che si respira a pieni polmoni in gran parte dei solchi del disco.

''Diesel'' è il terzo appuntamento discografico per Eugenio Finardi, dopo il successo della "sua" ''Musica Ribelle'' tratta dall’album ''Sugo'' del 1976 che lo portò in breve tempo ad essere il rocker più amato dalla contestazione studentesca e da certi ambienti della sinistra giovanile.

L’album si apre con ''Tutto Subito'', un forsennato Rock’n Roll elettrico dal testo apparentemente banale ma quasi profetico, infatti dopo poco l’Italia sprofondò nell’abisso del vuoto materialismo degli anni ottanta.

La seguente ''Scuola'' è un piccolo gioiello dominato dal suono del pianoforte e dall’implacabile basso di Ares Tavolazzi, il cui testo è un esplicito atto di accusa nei confronti di una istituzione che già all’epoca si stava avviando a ridursi ad una farsa ed oggi... beh, oggi ci sarebbe un bel disquisire su cosa è diventato l’insegnamento nel nostro beneamato paese.

Altro episodio di rilievo è ''Giai Phong'', una sorta di “brano celebrazione” della vittoria dei viet-cong sull’imperialismo americano, sicuramente dalle tematiche un po’ retoriche (siamo nei seventies) ma sorretto nella esposizione del testo da un ritmo simile ad un rullo compressore, particolarmente efficace nel sostenerne il significato; un pizzico di oriente completa il quadro.

Si potrà obiettare che oggi, in piena crisi di valori, certe tematiche possono far sorridere, sembrare sciocche e prive di ogni significato, ma a quei tempi hanno prodotto risultati non indifferenti in un campo, quello artistico-musicale, che al momento attuale è puro eufemismo affermare essere asfittico e regolato soltanto dalle rigide leggi di mercato, salvo sempre più rare eccezioni.

Particolarmente azzeccata e poetica nella sua carica di quotidianità è la title track ''Diesel'' con quel suo incedere convulso e frenetico contrappuntato dal suono liquido del piano elettrico di Patrizio Fariselli che ne mette in evidenza l’anima jazz.

Chiude l’album ''Scimmia'', cruda e agghiacciante storia di tossicodipendenza narrata con efficacia stupefacente, con un commento musicale perfetto nel descrivere lo stato d’animo nella sua drammaticità: "...io non sto crescendo, mi brucio ma mi sto spegnendo", canta Finardi nel ritornello.

Comunque il punto più alto è la lunga ''Non Diventare Grande Mai'', una sorta di saga dell’intelligenza dove l’invito ad usare il proprio cervello, il ragionamento, la fantasia, la capacità analitica (invito caduto nel vuoto, vien da dire a posteriori) senza lasciarsi condizionare dai mezzi del potere sono al centro dell’attenzione, il fulcro del brano, il leit-motiv trainante. Un brano musicalmente originale con quel suo incedere ossessivo, condito da sprazzi solistici di chitarra acustica notevolmente incisivi. Basso e batteria fungono da frizzanti protagonisti e l’intervento di uno strumento insolito per il genere, lo xilofono, che produce sonorità fluide e rarefatte; beh, il tutto ci fa capire che negli anni settanta era ancora possibile creare, osare, aspirare, volare, pensare, amare… un bel sogno durato poco. (Moreno Lenzi)