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ENRICO RUGGERI  "La rivoluzione"
   (2022 )

A due anni di distanza dalla pubblicazione del suo "Una storia da cantare", Enrico Ruggeri, uno dei nomi big della musica italiana, ritorna a lettere maiuscole nel firmamento delle sette note con "La Rivoluzione". Un album figlio della analisi accurata (in pieno stile Ruggeri) di una storia recentissima che è al tempo stesso sua, dell'artista, e nostra. Per certi versi anche un piccolo carnage che spoglia e ricostruisce, le undici tracce che compongono questo discorso diretto della vita appena trascorsa tra una battaglia e l'altra - come recita il brano che dà il nome al nuovo disco - e come traspare dalla introduzione di ''Magna Charta'', due minuti di semplicità disegnata da chitarra ed un paio di tastiere: il titolo attribuito al fatto di quanto accaduto nel precedente periodo di pandemia, ma anche alla nostra voglia di cambiamento dicendo, a voce alta, che non è finita.

Così recita il testo di ''Magna Charta'', declamato a guisa di lirica, di araldo:
Abbiamo viaggiato, abbiamo combattuto,
Abbiamo mangiato la polvere, guardando le stelle,
Abbiamo sognato e ci siamo svegliati sorridendo,
Credevamo in noi stessi, citavamo gli altri,
A volte ci hanno smentito,
Spesso non ci sbagliavamo...
Siamo stati in guerra, e ci è piaciuto,
Abbiamo aspettato la vita,
Più spesso siamo andati a cercarla.
Abbiamo aperto le finestre,
Sono entrati sole e pioggia,
Vento e candore...

Secondo brano nella tracklist, ''La Rivoluzione'', che vede il featuring di Massimo Bigi: scritto da Enrico Ruggeri nei giorni bui del Covid, è il riflesso della introspezione dei giovani sulla società in cui si confrontano, "Siamo quel che siamo, niente di più, niente di meno, padri e figli di un tempo studiato, intravisto dal treno". Un testo che, nonostante il tappeto di pianoforte, ha una forza introspettiva di energia enorme. ''Siamo quello che siamo, sogni appesi al soffitto di quell' ultima festa, ricchi e importanti della nostra stessa ricchezza, siamo l'ultima creatura".

La rivoluzione dei giovani, affermatasi autrice di un grande girone e poi sconfitta in finale, oppure simile a un biglietto di sola andata, è voce che urla tutta la sua vitalità e che in "La fine del mondo" prorompe nella propulsione di una esistenza capace di nascondere il resistere e guardare in fondo: ''Dimmi che questa vita abbia un disegno preciso, in cui nulla è stato deciso, dimmi che questa non è la fine del mondo, dimmi che riponi ancora speranze su me". Eterna spes, ultima dea. Prima a nascere ed ultima a morire.

''Un uomo dovrebbe essere così grande da capire quanto è piccolo'', recita "Non sparate sul cantante", bello ed incalzante nelle sue sfumature che riecheggiano molto da vicino gli Smiths. È allusivo lo sguardo rivolto al passato, in cui si cavalca sino all'imbrunire fermandosi solo per non scappare, prima di andare via. ''Non basta un asse e una corda al collo per fare di te un impiccato'', incalza Ruggeri nello sfondo di un rock calzante con la mano schiacciata sul cuore, tra lacrime e grida, sul luogo dell'ultima sfida, quella che ha in palio la pace dentro e fuori.

I ricordi del passato, pura introspezione di una giovinezza divenuta età adulta troppo presto, notti da asciugare e sogni lasciati in terra, amori nel fango e notti vissute senza dormire: ecco ''Parte di me'', testimonianza del tempo che non è più tempo in un giro di la maggiore tutto cuore. Aggressiva e impreziosita dal featuring di Francesco Bianconi, "Che ne sarà di noi", il confine tra amarezza, incertezza, azioni. ''Noi che abbiamo vissuto per cercare le tracce del nostro passato che abbiamo perduto''.

''Alessandro'' tocca il cuore. Beat ancora votato ad una grande semplicità per raccontare a grandi e giovani di quanto sia atroce la sofferenza se si vive entro i confini della solitudine. Un amico che ha gli occhi illuminati dietro le finestre di un ospedale, saluta con un cenno della mano, sorride delle terapie e prende in giro le infermiere. Ascolto e meditazione. Ma si possono prendere tanti pugni in faccia e rialzare lo sguardo e infiammare il cuore, ''Gladiatore'' apre la trilogia del nuovo rock ruggeriano con questo brano adrenalinico, in cui la vita è compagno ed avversario di un round infinito, e lo stendardo implora, "non spegnerti e non piegarti".

Ritorna quella visione retrò, leit motiv di tutto questo splendido nuovo disco, in ''Vittime e colpevoli'', il metronomo tra passato e presente questa volta è l'amore. "C'è chi usa come un'arma tutto l'amore che riceve, e mentre cerca una conferma, ci polverizza come neve". Ed ancora: ''c'è chi aspetta come un cane una carezza dal padrone, dice vado e poi rimane fino alla giusta punizione''. Ci si chiede, spiega Ruggeri, chi siano gli uomini adesso, segnati dal remoto, preoccupati dal futuro e resi dal presente maschere cattive e vulnerabili.

Si chiude con la preziosità di ''Glam Bang'', featuring con Silvio Capeccia che aveva fondato proprio con Enrico Ruggeri gli Champagne Molotov prima dei Decibel: quelle maschere poco sopra citate divengono personificazione del diavolo e dell'acquasanta, ''il diritto che avanza, la scienza e l'ignoranza, la vergogna e la decenza''. Malinconico commiato, ma lirico in tutta la sua drammaticità in "La mia libertà", che conclude questa ora di grande ascolto e che ci fa esclamare a voce alta, bentornato Enrico Ruggeri, al suo ventinovesimo album in carriera in oltre 40 anni di musica. (Leo Cotugno)