recensioni dischi
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IMPERATORE  "Voci dentro"
   (2022 )

Teatro, circo, musical, Napoli, Totò. Tutto questo e altro c'è in “Voci dentro”, il disco di Pasquale Imperatore, che racchiude sette brani scritti di proprio pugno, e due musiche che ospitano i versi di una poesia di De Curtis (“Ammore perduto”) e una di De Filippo (“Quanno parlo cu tte”).

Queste “Voci dentro” sono espresse tutte in partenopeo stretto, e raccolgono suggestioni suscitate dai sentimenti e dalla vita. Quello che caratterizza in maniera peculiare sono le atmosfere create dalle musiche. Delicate, sussurrate, ma in realtà mai davvero lente. I ritmi sono cadenzati, il basso è molto importante, e c'è un sapore decisamente notturno che ti trascina via. Come nello shuffle sognante di “Tiempo”, o il terzinato di “Luntano”, la sensazione soft di “Parlami”, che però porta parole molto calde e dirette: “Siéntame, chesta notte siéntame, pigliate chello che voi da me”.

Il titolo “Zona rossa” richiama subito alla memoria i drammatici mesi del 2020 e 2021, con questa Italia a colori che bloccava i propri ritmi naturali, in base a gelidi calcoli. A tutti saranno arrivati pensieri simili: “Canta n'coppa a luna, è bona chista voce, a vote triste, a vote doce. (…) Stu tiempo si è fermato e 'o sai, a me, me treman e mane”. La musica è qui sorretta da una calorosa chitarra acustica, e da una fisarmonica nel ritornello. “L'aria po' cantà” ha un crescendo a sorpresa, con una chitarra elettrica sotterranea, e dei cori misti che arrivano senza preavviso, e fanno sciogliere le stelle come zucchero.

“Ammore perduto”, la poesia di Antonio De Curtis, alias Totò, viene cantata prima da Imperatore con voce tonante, e poi continuata dalla voce femminile. La tonalità minore, il fischiettio, il violino, portano un'elegante tristezza, che è l'essenza dell'esistenza. Niente disperazione, niente vesti strappate, ma tanta commozione profonda... da una voce dentro.

“Quanno parlo cu tte” rende magiche le parole di De Filippo, giocando tra le tonalità con un ritmo in levare, e l'utilizzo frequente, nell'armonia, della tradizionale sesta napoletana. Particolare invece, la costruzione ritmica di “On rettifilo”, con un organo Hammond staccato, un basso misterioso e alcuni accordi di chitarra riverberati in maniera strana. L'episodio più buio del disco, buio ma non cupo; semplicemente, ha il fascino delle ore piccole, tradotte in suoni.

L'album si conclude con la reprise di “Zona rossa”, che è la stessa voce, ma la chitarra acustica è sparita; al posto suo, dei fondi celestiali di tastiera, e l'effetto vinile. Che dire, contro la paura di questi tempi la risposta è una: “Sona, sona, sona, fino a che tiene 'a voce”. (Gilberto Ongaro)