recensioni dischi
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BABY FIRE  "Grace"
   (2022 )

Devo rivolgere un grazie di cuore alle Baby Fire, trio belga al femminile originario di Bruxelles, giunto con le dieci tracce di “Grace” al quinto album di una carriera costellata di affermazioni e collaborazioni di rilievo.

Il ringraziamento a Dominique Van Cappellen-Waldock, Lucille Beauvais e Cécile Gonay è per avermi riportato indietro con gli anni ad un tempo che avevo in parte perduto, sebbene mai scordato: tra le spire avvolgenti di questi quaranta minuti bui come una notte nera si dibatte il fantasma di una tra le più ieratiche regine delle tenebre che mai abbia attraversato il post-punk tutto, ossia la sacerdotessa Susan Janet Ballion, in arte Siouxsie Sioux.

Sarà lo stile di canto di Dominique, saranno le atmosfere plumbee screziate di continuo da piccole variazioni che ne accrescono il pathos e ne acuiscono la nevrosi, ma per tre quarti dell’album pare di ritrovarsi agli albori delle sessions di “The scream”, “Join hands” e “Kaleidoscope”, precipitati in un dirupo tra spuntoni di roccia taglienti, asperità di ogni sorta, generale clima malevolo e fastidi assortiti conditi da sonorità aggiornate ai tempi, che contribuiscono in parte a smussare taluni spigoli levigando la superficie dei brani.

Dalle contorsioni dell’opener “A spell” agli echi avant di “Like William Blake”, passando per gli angusti cunicoli di una “Sing in brightness” memore di Chelsea Wolfe (l’antica vestale che cede il passo alla nuova), per le suggestioni à la Sophia di “Love” o per la lamentazione catacombale consumata nei quasi otto minuti della title-track, rimane ad aleggiare a mezzaria una straniante sensazione di tetraggine mista ad irrequietezza, sublimata nel sabba di bassi insinuanti e profondi di “Eternal”, degna chiusura in un tripudio di vocalizzi spettrali di un album che – ne sono certo - piacerebbe tanto a Susan. (Manuel Maverna)