recensioni dischi
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MIZULA  "Mizula"
   (2022 )

Stilla da ogni riposto meandro di questo prezioso album un insopprimibile sentore di autorialità, un chè di raffinato e profondo al contempo. Al crocevia tra timide tentazioni indie, arie rarefatte, testi elegantemente essenziali ed un songwriting che predilige toni intimi e forme garbate, nove tracce tra Paolo Benvegnù, Low, Perturbazione, Sacri Cuori cesellano un elogio della lentezza che non è sinonimo di indolenza, ammantato da un’aura di diafana purezza, mai esangue né svenevole.

Quartetto umbro di recente formazione, i Mizula pubblicano per Tazzina Records/Dischi del Minollo il self-titled di esordio, mirabile compendio di compassata introspezione veicolata da un accurato lavoro di produzione (Marco Fasolo dei Jennifer Gentle) e da arrangiamenti che ambiscono alla costruzione di un linguaggio distintivo e personale.

Solo di rado il clima laid-back è ravvivato da variazioni al tema portante: accade in “Due secondi”, contrappuntata dal sax (vero atout dell’intero lavoro) di Laura Aschieri mentre la chitarra inanella sequenze western, o in “Mi dirai”, con un beat che ricorda i Police e con la voce di Daniele Rotella lievemente increspata dai filtri.

A prevalere sono invece atmosfere laid-back che sfiorano sporadicamente perfino un insolito slowcore (“Amico”, guidata e sorretta dal pulsare del basso, aperta da un chorus ammaliante, ricamata dal sax di Laura Aschieri), mentre altrove si insinuano tra le pieghe di una musica conciliante il passo sixties di “Si è perso il tempo”, la cadenza misurata della trasognata opener “Infiniti blu” (intro desertica, rallentamento catatonico che muta pelle infilandosi in un tropicalismo mascherato sui generis), la linea di basso e il chorus di “China”, entrambi in un mood da anni Settanta a richiamare indifferentemente Battisti o Righini, il pop retrò di “Gentile è il vento”.

E’ sempre una squisita ricercatezza a rifinire queste composizioni riflessive, tessiture sofisticate che lievitano gradualmente con studiata gentilezza, la stessa che rende toccante e sfuggente la lullaby conclusiva di “Ombre”, chiusa in una coda traboccante di pathos.

Se questo disco fosse un momento della giornata, sarebbe quello in cui il sole cala all’orizzonte prima che il colore del cielo digradi in una sera promettente e confortevole, preludio ad una notte serena. (Manuel Maverna)