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GABRIELE GEMINIANI E MONALDO BRACONI  "Prokofiev & Shostakovich cello sonatas"
   (2022 )

Ci riserviamo il diritto di ignorare l'attuale situazione politico-militare. Questa recensione potreste leggerla oggi come tra dieci anni, ed è con questa consapevolezza che si deve parlare di musica, piuttosto che legarla all'attualità. Soprattutto, se si tratta di musica di compositori come Prokofiev e Shostakovic, che testimoniano il proprio secolo, ma al contempo gli sopravvivono.

Siamo nel Novecento sovietico. A fasi alterne, la Russia elogia e censura, celebra e critica Sergej Prokofiev e Dmitrij Shostakovich, per le loro scelte compositive non sempre (o quasi mai) in linea con i dettami dello Stato. E il violoncellista Gabriele Geminiani, assieme al pianista Monaldo Braconi, restituiscono alle nostre orecchie la Sonata in Do maggiore di Prokofiev, op. 119, e la Sonata in Re Minore di Shostakovic, op. 40. No, fermi, non è quella che pensate: quel valzer usato in “Eyes Wide Shut” appartiene alla “Jazz Suite no. 2”. Suvvia, scopriamo anche il resto!

Geminiani e Braconi fanno vibrare non solo le note, ma anche le intenzioni dei compositori, come si sente bene negli staccati leggiadri nel terzo movimento “Allegro ma non troppo” della sonata di Prokofiev. Se non sapessimo che si tratta della Russia del Novecento, quel passaggio potrebbe sembrare di un brano inglese di fine Ottocento. Ma la tradizione del passato occidentale viene puntellata di elementi ad essa estranei, come certe progressioni e certe libertà che non sempre applichiamo, al di qua della (sigh) cortina. Ricordo quando da pischello, spiritosamente, di fronte al libro di esercizi per bambini di Shostakovich (op. 69), dissi al prozìo pianista: “Solo un russo poteva scrivere 'ste robe!”. Il prozìo mi rispose serissimo che, in effetti, dietro a certe dissonanze, c'è trasposta la realtà sovietica. Ma Prokofiev non esagera con queste digressioni. La sua Sonata è ancora romantica, tonale e melodica; la peculiarità stilistica sta nell'utilizzo esteso delle note gravi di violoncello e pianoforte, riscontrabile nel finale della sonata.

Al turno di Shostakovich, sentiamo una melodia intessuta dall'arco, e dopo alcune progressioni canoniche, ecco i voli pindarici tipici del compositore, già subito nel primo movimento. Bravo Geminiani nel crescendo del violoncello, che porta in sé... posso usare la N word dei recensori, quella più derisa da tutti? Sì dai, è proprio il caso: porta in sé l'AFFLATO della composizione, tutto il suo trasporto emotivo tradotto in suoni. A tre quarti del primo movimento, il violoncello ci porta via con un glissato, e dopo una pausa Braconi riparte con gli staccati di pianoforte, che suonano come i passi lenti di un uomo che si guarda intorno circospetto. E lì è il momento per le dissonanze sui tasti bianchi e neri. Sono dissonanze volutamente dolorose, perché non portano a deviazioni armoniche che le giustificherebbero.

Il secondo movimento parte con un tema che noi profani potremmo volgarmente definire “catchy”. Ma, dopo dei pizzicati, troviamo una parte molto alta, per essere sul violoncello: sembra un violino impazzito. Da questi elementi, si nota l'attenzione alla modernità del compositore. Una lenta ed inquietante scala iniziale di pianoforte, nel terzo movimento, anticipa l'avvio di un vibrante tema di violoncello. Anche qui, il disorientamento programmatico delle armonie si fa sentire, ma la melodia non si lascia inghiottire da questi abissi che il pianoforte apre di continuo.

Ed infine il quarto movimento corre in allegria, tra passaggi impetuosi, sforzati, e marcette baldanzose. Geminiani e Braconi ci regalano così un pezzo dell'eredità musicale russa, che però si può considerare eredità umana mondiale, varcando i confini spaziotemporali. (Gilberto Ongaro)