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PAOLA SABBATANI  "Libertà e malinconia"
   (2022 )

C'era una vecchia pubblicità di una compilation discomusic, che recitava: “E non la troverai nei negozi!”. Anche questo è il caso, per motivi diversi. “Libertà e malinconia”, della cantautrice Paola Sabbatani, è uscito per una casa editrice, Una Città, che pubblica una rivista con la quale Sabbatani collabora. Siccome le canzoni sono state ispirate da interviste pubblicate in tale rivista, la casa editrice ha pubblicato anche il cd, acquistabile dal loro sito, e reperibile nelle piattaforme. Interessante la formazione musicale: accanto alla voce di Paola, ci sono una chitarra acustica a sette corde, e due contrabbassi. Questi ultimi spesso si fanno notare: pizzicano le corde, le strofinano con l'archetto, e in un brano fanno un botta e risposta di bass walking. Danno un colore molto scuro ai brani; dev'essere un'intenzione ben precisa, data la scelta di forma e di contenuto dei testi.

Paola Sabbatani si potrebbe definire cantrice del disincanto. Nei racconti di storie di vita di donne, si focalizza sui momenti di sincerità verso sé stesse, smascherando illusioni e favole imposte. Da “Malinconia”: “Hai perso, son sicura, son certa della resa. Le tante, molte mosse del tuo gioco, che ancora c'è partita, sei sicuro? Difficile confortare proprio ora, difficile”. Nelle parole sdrucciole, come “difficile” o “vulnerabile”, cantata nel brano di chiusura “Vulnerabilità”, si avverte l'influenza battiatesca nel cantato. Si avverte anche nel testo di quest'ultima, dove l'amore diventa ricerca spirituale, di qualcosa oltre: “Chi sa se sentiremo mai quel bene segreto, discreto, noi non conosciamo quali sogni abitiamo (…) Sono amori non pari, impossibili (…) qualcosa che solo a parlarne gli amici ne ridono sempre. Sono amori divisi dal sesso, dal tempo, dal fine e dal sentimento”.

“Residuo di pena” gioca sul senso della parola “pena”, come pietà, e come condanna: “Ma dove volevi andare, cosa mai dovevi fare? (…) Hai amato ed hai sbagliato, lo hai protetto e poi ancora rubato, ed il giudice, da bravo, ha poi tutto calcolato. Che pena allora, sentirti rinunciare”. Coinvolgente la ritmica in 7/8 su scala maggiore armonica, che dà sapore spagnolo alla canzone. Tanti “non” in “Io, te e voi”, perché nega la rinuncia a lottare: “No, non lo puoi fare, no non lo farai, è sicuro (…) perché non si può fare, non si può uscire di scena così, non puoi chiamarti fuori. Ci sarà sempre uno sguardo, un pensiero a toccarti, sfiorarti la mano”.

L'apice dell'amarezza arriva con “Annamaria”, aperta da una nota di contrabbassi e una dissonanza di chitarra. Un racconto lungo, da cui riportare qualche passo, per intuirne il dramma: “No, oggi non parliamo di bellezza, che tanto dolore ha causato, oggi non raccontiamo la sciocchezza della meraviglia del creato (…) tu, brutta fra le altre sorelle, sfortunata fra le fortunate belle. Hai urlato tanto (…) Isteria, l'hanno chiamata. E per troppa generosità, fra le carte di un avvocato fallito è finita la tua libertà. No, oggi non c'è consolazione, nessuno crede a una resurrezione (…) No, oggi non parliamo di giustizia sociale e nemmeno di libertà. Oggi non parliamo di seconde possibilità”. Questo si collega alla penultima canzone: “La seconda possibilità”, che spezza la malinconia con una marcetta gipsy alla Reinhardt. “Sì, sei tu, proprio tu, sei tornato qui nella città, mi hanno detto che stai bene (…) Che sorpresa, che regalo il tuo ritorno qui nella città”.

Su ritmo latino, con tanto di shaker, si muove “Chiedi scusa”, brano militante: “Avanti avanti avanti marsch (…) chiedi scusa per non essere bellissima”. Ancora una volta, si evidenzia questa imposizione della bellezza femminile come dogma. Suggestiva “Sala d'attesa”, dove Sabbatani si sofferma a descrivere i cappelli appesi (“di feltro, velluto, cremisi”), dai quali emergono le storie dei pazienti presenti in quel non-luogo (“Son vite vissute al di fuori di qui”). La lotta va a braccetto con la stanchezza, e viene cantata ne “La faticosa libertà”: “Ti sei liberata dei complessi, accettando limiti e difetti. Non ti hanno mai convinta a cambiare la tua rotta (…) E ora vorrei una panchina, due alberelli di limone e una fontana. Sì, un recinto, un paradiso”. Dal disincanto alla lotta, le donne cantate da Paola Sabbatani sono descritte con schiettezza e delicatezza allo stesso momento, cercando di portare la causa femminile a un livello mistico, non solo “politico”. (Gilberto Ongaro)