recensioni dischi
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BARBA NEGRI ZILIANI  "Orpheus in the underground"
   (2022 )

Il nuovo disco del trio Barba Negri Ziliani, che segue l’esordio del 2020 Too Many Keys, è un concentrato di jazz raffinato e di classica contemporanea studiata e variegata, un ottimo debutto che unisce il piano e i synth di Riccardo Barba, il contrabbasso di Nicola Ziliani e la batteria di Federico Negri.

Orpheus in the Underground, l’LP di debutto di Barba Negri Ziliani, esplora, in nove tracce infuocate e coraggiose, per la maggior parte brani originali firmati da Riccardo Barba e due riproposizioni di pezzi di Au Revoir Simone e di Edward Elgar, un percorso di difficile decifrazione ma riuscito e appassionante, che cerca di trovare, riuscendoci, un filo conduttore tra avanguardia, classica contemporanea, elettronica sperimentale e jazz. Ritmi ostici, sentieri sonori claustrofobici e cinematici, esplosioni abbacinanti di parole e di note si intrecciano con eleganza e passione, senza tralasciare, peraltro, ulteriori contatti con altri generi, in primis un certo tipo di acid rock che emerge qua e là, forse quasi inconsciamente intrinseco nell’approccio performativo dei tre musicisti.

Proprio la qualità dei tre splende ovunque nel disco. Dall’apertura sognante e alienante affidata alla title track, cinque minuti vulcanici, alla densa e malinconica “Maida Vale Night”, un perfetto biglietto d’ingresso alle intenzioni dei tre e vera e propria finestra aperta sul loro modo di intendere la musica, dalla personalissima versione di “Nimrod” cavalcata dall’inizio alla fine con rispetto e con trasporto alla sperimentale e originalissima “Ricercare”, ogni angolo di Orpheus in the Underground sembra ricordarci quanto questi tre musicisti, se posti uno al fianco dell’altro, sappiano superare sé stessi e ampliare ancora di più il loro personale e spesso cristallino talento.

Il progetto Barba Negri Ziliani diventa così un modello cui guardare per chi vuole cercare risposte su quale sia oggi il rapporto tra la classica, soprattutto avanguardistica e contemporanea, e il jazz, anch’esso nella sua declinazione più vicina al presente, senza che però siano mai dimenticati i pilastri storici che hanno segnato il genere negli scorsi decenni, e sul rapporto che essi possono – e forse devono – tessere con l’elettronica e il rock, generi ai quali i tre si avvicinano con curiosità e con spontaneità, per arricchire una volta di più il loro sound. (Samuele Conficoni)