recensioni dischi
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STEVE VAI  "Inviolate"
   (2022 )

Novembre 2001. Giornata grigia in quel di Nonantola, cittadina nei pressi di Modena celebre per la sua Abbazia benedettina e le numerose bellezze storiche, dove alla discoteca Vox si teneva il concerto di Steve Vai & band (allora non incombeva la vecchiaia e giravo ancora l’Italia in lungo e largo per concerti…). Trovato a fatica il parcheggio, ero in ritardo e mi affannavo per raggiungere il mio posto nelle prime prime file. A concerto iniziato da pochi minuti, vedo in mezzo al palco il protagonista con un vistoso chitarrone e una tuta eccentrica che emanava una serie di intense luci sfavillanti tanto da apparire… un Alieno. Come volevasi dimostrare, il concerto è stato di quelli che non si dimenticano, anche per essere riuscito nel backstage a scambiare due parole e a farmi autografare i CD solisti dal bassista che “l’Alieno” aveva accanto sul palco del Vox dove hanno sfoderato duetti mozzafiato, “un certo Billy Sheehan”, notoriamente fra i massimi virtuosi delle 4 corde presenti nello scenario rock internazionale (purtroppo non altrettanto sono riuscito a fare con Steve Vai).

Il paragone extraterrestre non mi pare affatto peregrino (Alien love secret è il titolo di un suo EP uscito nel 1995), considerate le doti di un chitarrista che fin dall’inizio della sua lunga carriera iniziata nei primi Ottanta hanno sfidato i limiti delle capacità umane. Se nella vita le sfide si vincono e si perdono, il Guitar Hero italostatunitense componente del G3 (il noto progetto di Joe Satriani che intende mettere sul palco i tre migliori chitarristi del mondo), di cui ho l’onore e l’onere di poter scrivere, quelle artistico-professionali (e non solo – sotto) le ha vinte tutte. Non è certo per caso l’essere scoperti a 19 anni da “un certo Frank Zappa” (eccezionale e provocatorio innovatore ispiratore di interi filoni musicali - su cui ovviamente non mi soffermo - che influenzerà in maniera indelebile anche lo stile del Nostro) e l’essere inserito nella band. Quanto di più distante dai meccanismi determinanti gli effimeri successi commerciali delle troppe meteore che affollano i media mainstream, generate dalla fabbrica di pseudo divi finto-rock/finto-trasgressivi conformi all’establishment, soggetti alle regole dell’obsolescenza programmata (rimando ai classici di Serge Latouche).

Compositore, produttore discografico e polistrumentista (oltre alla chitarra riesce a “dare del tu” a tastiere, basso e batteria), Steve Vai si caratterizza per una tecnica chitarristica stratosferica, debordante ma mai invasiva o narcisisticamente autoreferenziale (un “vezzo-vizio” assai comune fra chi ne è dotato), puntualmente messa a servizio di un’articolata proposta artistica declinatasi nella grande varietà di generi e stili incontrati nei suoi lunghi trascorsi in studio e dal vivo.

Dicevamo che le sfide vinte dall’”Alieno” delle sei corde non riguardano solo quelle professionali ma anche la sfera personale, avendo dovuto subire nell’arco del 2011-2012 due importanti interventi chirurgici alla spalla e al dito di una mano, e pertano in grado di condizionarne fortemente l’attività come l’umore, la vena creativa e le motivazioni: ebbene Steve è riuscito non solo a non perdersi d’animo ma a trasformare questi malanni in occasioni per sperimentare percorsi e soluzioni musicali inedite, estraendo dal cilindro quanto possiamo apprezzare nel brano "Knappsack" che ci mostra nel video di seguito linkato https://www.youtube.com/watch?v=aMjmjXHJoPg

Nella sua variegata discografia, in primis come solista (10 album in studio, 2 EP, 8 live) e comprendente una vasta quantità di collaborazioni con gruppi e musicisti internazionali di primordine (mi limito a ricordare quella con David Lee Roth e Whitesnake, avendo fatto parte della formazione di Coverdale & C. in Slip of the Tongue, 1989, collaborazione recentemente ripresa con una reunion live per il celeberrimo brano Still of the Night, 1987), troviamo l’intera gamma delle strade battute: dall’hard rock al metal, dall’avanguardia scanzonata e dissacrante (il maestro Frank si fa sentire!) all’improvvisazione, dalla sperimentazione alla fusion, a momenti orchestrali e, last but not least, al blues.

Questo nutrito bagaglio si riscontra, ed è proprio il caso di dire repetita iuvant, anche nelle 9 tracce del nuovo Inviolate, uscito a distanza di sei anni da Modern Primitive (2016), dove queste feconde compenetrazioni stavolta vengono più marcatamente condite in salsa rock (termine oceanico ma su cui si continua a intendersi) senza concedersi particolari incursioni extra, come se lo studio intensivo che lo ha da sempre contraddistinto, ma con tutta probabilità ulteriormente stimolato dalle sopracitate limitazioni, avesse favorito l’esplorazione di nuove potenzialità degli strumenti a corda. In collaborazione con Ibanez ha progettato una sorta di mega-chitarra di legno a tre manici semi-fretless con diverse sonorità che porta il nome dell’Idra di Lerna (Hydra, nome originale greco), inquietante mostro mitologico greco-romano a più teste sconfitto e ucciso da Eracle, come si può apprezzare nel brano di apertura Teeth of the Hydra (vedi video qui sotto).

Salendo in groppa di questa novella Hydra in versione musicale risorta nella seconda decade degli anni duemila e perfettamente “domata” dal suo talentuoso ideatore, si scoprono i numerosi scenari rock contenuti nell’ultima tappa dell’appassionante viaggio nel mondo delle sei corde finora compiuto da questo fantastico musicista sessantenne, anche come occasione per una (re)immersione in una caleidoscopica discografia capace di regalarci emozioni intense e inedite (MauroProg).