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MIZOOKSTRA  "Also sprach Mizookstra"
   (2022 )

Qui c'è davvero poco, da tradurre in parole. E questo non perché ciò che si ascolta qui non sia fatto bene. Ma è che le parole fissano dei concetti, mentre “Also sprach Mizookstra”, dei Mizookstra, è un aconcettuale: è un album fatto da un duo di improvvisatori incalliti, in ambito live electronic e free jazz. Provate a unire queste due categorie: otterrete l'anarchia più totale. Mario Conte produce musica elettronica senza alcun canovaccio. Quello che ascolterete è estemporaneo, è nato al momento della registrazione, e non lo sentirete mai dal vivo. Perché, dal vivo, l'esperienza cambia sempre, essendo inventata sul momento. Simone Garino invece suona il sax, ma in certi momenti si fatica a distinguerlo, perché il suo approccio di partenza è sperimentale, e poi perché anche Conte elabora il suono del suo strumento in diretta in maniera imprevedibile.

Uscito per Sangue Disken, l'album è composto da 8 tracce, che riportano titoli dai numeri mescolati. Ad esempio, inizia con “SESSION#8 pt. 1”, poi “SESSION #8 pt. 2”, “SESSION#6”, 7, 2, 1, 4, 5. Manca la 3. Chissà che cos'era la 3, ora resta la curiosità. Inutile anche descrivere le singole sessioni, se non dando un'impressione generale. Il caos è completo, anche se per fortuna il duo evita di saturare inutilmente lo spettro sonoro. Come dire, il risultato è caotico e aleatorio, ma mai eccessivamente carico, non si arriva al wall of noise, neppure nella energica “SESSION#1”. Però c'è da dire che in “SESSION#6”, il sassofono sembra recitare bene la parte di un personaggio disperato, di una disperazione in astratto. Il suo ruggito è a tratti lancinante, anche mentre Conte avvia una drumbeat. Mentre nelle prime due (cioè la 8, parte prima e seconda), il sax sembra... soffiarsi il naso. Quello è il rumore che imita. C'è dunque uno spirito anche umoristico, oltre che di ricerca.

Il nome Mizookstra, deriva dall'unione di orchestra e “misuk”, cioè “misuca”, musica invertendo le vocali i e u, invenzione di Bertolt Brecht, che sottoponeva la “musica”, espressione per lui della borghesia, a una delle tante tipologie che avvengono sotto al concetto più generale di “misuca”, la scienza dei rumori, che rifiuta ogni formalismo e cerca d'essere sia intellettuale che popolare. Ed ecco, me lo immagino l'operaio che finisce il turno, si stacca dal macchinario e torna a casa, ed ascolta questo tipo di confusione creativa, e si diverte. Un momento... ma sono io!

A proposito di macchinari, la “SESSION#2” ospita un rapido salto d'aria ripetuto, che diventa come un motore; un po' come il loop del VCS 3 dei Pink Floyd in “On the run”. La traccia prosegue come un insieme di allarmi, sui quali il sax contralto improvvisa. E insomma è tutto così. Imprevedibile elettronica jazz. Prendere o lasciare. Bisogna essere in vena, per ascoltare questa misuca, che sono come secchiate di vernice su una tela bianca, per un pittore. Il duo dipinge delle situazioni sonore che cambiano sempre. Situazionisti come la vita reale. Brecht ne sarebbe contento. (Gilberto Ongaro)