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ANDREA TARQUINI  "In fondo al '900"
   (2022 )

Terzo disco per il cantautore romano Andrea Tarquini, “In fondo al '900” è una raccolta di racconti, alcuni autobiografici alcuni immaginati. Si sente l'influenza della scuola romana, e di Stefano Rosso, di cui Tarquini era il chitarrista. Anche se nel primo brano canta “rimane una scia / che non è nostalgia”, di nostalgico c'è molto fin da quella canzone, “Ufo robot”, di cui il riff melodico per chitarra acustica e orchestra, sembra adatto alla sigla di un telefilm anni '70.

L'America emerge nelle scelte stilistiche, in “Cantautori indipendenti”, cantata assieme a Federico Sirianni; è un 6/8 con note in slide sulla chitarra, che ricordano lo stile hawaiano (o il dobro). E nel testo malinconico, spunta un “Ma cammini per strada che sembri Prévert”, che dà un segnale ideologico. Il mandolino in levare invece caratterizza “L'amore in frigo”, che racconta una storia... d'odio, di una coppia abbastanza nevrotica: “E noi felici e contenti rinchiusi tra le mura dell'ego / due paranoie distanti non fanno alcun amore cieco”.

Ma il brano centrale è la titletrack. “In fondo al '900” si sostiene su accordi di pianoforte, e la voce corre come quella di De Gregori, tra cani blu e nonni-foglia: “Spiegherò a mio figlio, per parlare alle fate servono parole mute”. Sono dei quadretti, un susseguirsi di immagini famigliari, dove ci si può ritrovare. Il momento strumentale è affidato ad una viola; è con questa canzone, che emerge chiaramente l'intento intimista dell'autore. Per quanto si racconti anche di altre persone, c'è sempre qualcosa di sé. Anche nel pezzo successivo, “Cassa (in) quattro”, che racconta di una donna cassiera di giorno, chitarrista di notte, che ad un certo punto si mette a cantare i suoi pezzi al microfono della cassa al supermercato, facendosi licenziare. E lei se ne va al mare. Un assolo di tromba sul mandolino esprime il sentimento agrodolce di questa scelta impulsiva: quanti musicisti a metà vorrebbero farla!

Torna l'America musicale in “Parakalò”, con un 3/4 dal sound country, e un'immagine bucolica di ragazze scalze che corrono in spiaggia, classica fantasia maschile delle ninfe in acqua e dell'occasione da non perdere: “Belle sirene del sale e del mare / del poeta che viaggia e che sa / come chi non perde tempo, l'amore non aspetterà / come il telo sulla sabbia, volerà”. La dolcezza musicale prosegue nello strumentale “Uve al sole”, dedicato ad un amico scomparso, e troneggiato da un sax soprano, e ancora suoni morbidi da “Pioggia d'estate”, dove l'assolo stavolta spetta al fiddle.

Il disco finisce con una canzone che chiude anche i concerti: “Adios amigos”. La canzone è proprio strutturata come riassunto finale delle cose raccontate nel disco, con una sorta di assoluzione del pubblico, né morali da impartire: “Nessun castigo, niente mezze verità. Uomini e topi, canzoni e paltò, biglietti per pochi, e merletti e rossetti mentre aspetti, forse no”. Tarquini ci accompagna nella sua passione musicale, senza prendersi sul serio, anzi: “Adios amigos, al prossimo bluff, adios amigos, si ringrazia lo staff”. E proprio lì, parte la pausa strumentale: si sente che è creata apposta per piazzare là i ringraziamenti alla pro loco, all'assessore che ci ha permesso di suonare in questa bellissima piazza eccetera.

Dunque, Tarquini ci racconta i desideri di persone comuni, senza moralismi, tramandando degnamente l'esempio di Stefano Rosso, altro nome da riscoprire per chi se l'è perso! (Gilberto Ongaro)