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PLACEBO  "Without you I’m nothing"
   (1998 )

È il 1998 e per i Placebo arriva il momento critico del secondo album.

Eh, già. Perché la storia della musica è ricca di band che, di fronte all’ostacolo della seconda fatica in studio, si sono perse senza saper confermare gli ottimi propositi dell’esordio. Quanto racconteremo di seguito, rappresenta, invece, una piacevolissima eccezione.

A due anni dall’omonimo “Placebo”, la band capitanata dall’androgino e bisessuale Brian Molko regala il migliore disco della loro discografia e, probabilmente, dell’intero 1998. Due anni ed un sound che diventa molto più maturo, forse meno diretto e punk, ma certamente introspettivo e dall’alto contenuto emotivo. Ad accompagnare il piccolo Brian Molko, troviamo il gigante scandinavo Stefan Olsdal e Steve Hewitt alla batteria (sostitutivo di Robert Schultzberg, presente nel primo album).

I protagonisti non sono presenti in copertina (benchè l’immagine fosse molto vendibile), ma due sorelle/gemelle (?) sono sedute ad un tavolo, su uno sfondo in cui domina il colore giallo. Un’istantanea che, secondo il marchio di fabbrica Placebo, intende creare un’immagine forte, emotiva ed artistica, molto spesso del tutto estranea al contenuto del disco.

“Pure morning” è una fiamma che inizia ad illuminare “Without you I’m nothing”; chitarre dure ed insistenti ed un ritmo piuttosto incalzante intendono proseguire con quanto già espresso in “Placebo”. La voce nasale del piccolo cantante (nato in Belgio da padre americano e madre cattolica scozzese) è, inoltre, un elemento assolutamente distintivo del marchio di fabbrica del gruppo: è Molko, allora sono i Placebo. Il video risulterà suggestivo e forte elemento per trascinare l’intero album. Brian Molko tenta il suicidio buttandosi da un palazzo, ma, invece di precipitare, cammina (quasi fosse il Messia) verticalmente per l’edificio, sotto gli sguardi stupiti ed adoranti degli spettatori.

“Brick shithhouse” porta un sound ancora più aggressivo attraverso chitarre distorte, mentre “You don’t care about us” è un’autentica delizia di puro pop rock. Non è difficile vedere i riferimenti con i Cure di Robert Smith, ben potendo considerare questa terza traccia come una sorta di “Boys don’t cry” o una “Inbetween days” degli anni novanta, che solo l’irraggiungibile guru del buio potrebbe scrivere. “Ask for Answers” e, soprattutto, il brano che impresta il titolo all’album, aprono la porta della tristezza e della malinconia. Con i tempi rallentati, le chitarre ed il basso sembrano ancor più in sintonia, mentre la voce di Molko, divenuta maggiormente espressiva, è libera di commuovere.

“Allergic – to thoughts of mother hearth” (francamente poco significativa) anticipa “The crawl” e, qui, i Placebo toccano il loro lato più dark. Con un ritmo lentissimo, con gli strumenti che diventano acustici e con la voce sofferente di Brian Molko si porta l’ascoltatore davvero lontano, mentre la successiva “Every you every me” è la vera rock song di “Without you I’m nothing”, il primo pezzo che ci fa immaginare la band in uno stadio, davanti a migliaia di fan, e non più in piccoli spazi.

Alla traccia n. 9 arriva un altro momento imprescindibile: “My sweet prince” riesce ad essere ancora più lenta di “The crawl” mentre raggiunge il cuore di ogni ascoltatore con la sua delicatezza e la sua dolcezza... “my sweet prince you are the one, you are the one”. Da questo momento, fino alla fine, “Without you I’m nothing” non conosce momenti di flessione. Con “Summer gone” (un po’ di malinconia alla fine dell’estate), con “Scared of girls” (che riaccende il ritmo) e con “Burger queen” (una carezza prima di dormire).

Come il suo predecessore, anche “Without you I’m nothing” si chiude con una traccia nascosta che, invero, poco aggiunge a quanto ascoltato negli oltre sessantacinque minuti dell’album. Un lavoro davvero delizioso. L’opera migliore dei Placebo ci ha portato una band poliglotta che sa parlare la lingua dell’irruenza giovanile e punk (continuazione del primo album), ma anche la lingua dell’introspezione e del dark (l’elemento davvero trascinante del disco) e quella più mainstream del rock da grandi arene. Difficile pensarlo diverso perché qui c’è proprio tanto. Quasi tutto. (Gianmario Mattacheo)