recensioni dischi
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KAIPA  "Urskog"
   (2022 )

I musicofili rockettari della mia generazione seventees (ora, ahinoi, attempata… ehm pardon, “diversamente giovane” rispettando la dittatura del politically correct sì da evitare il pubblico ludibrio), che non ricordano (e amano) Ciao 2001, alzino la mano: scommetto che sarebbero davvero in pochi. Allora non erano concepibili le infinite possibilità offerte oggi dalla Rete per reperire le info più dettagliate e rimanere costantemente aggiornati sui più svariati e reconditi universi musicali dell’intero globo, laddove le relazioni avvenivano esclusivamente, per dirla con Kant, “nel mondo fenomenico” (telefoni e corrispondenza a parte… tralascio la questione della presunta attuale continuità fra la vita “on-line e off-line” - per me assai opinabile - di moda oggi e sostenuta da eminenti autori: si veda Floridi L., Pensare l’infosfera. La filosofia come design concettuale, Raffaello Cortina, Milano, 2020). Eppure, le interazioni fra noi ragazzi che condividevamo gli stessi interessi musi-culturali erano sovente caratterizzate da una densità di scambi informativi e di condivisioni emotive imparagonabili rispetto alle (pseudo) relazioni vissute (?) in ambito social o, peggio, nell’illusorio Metaverso, l’ultima distrazione di massa ad opera dei Padroni della Rete (e del Discorso) per indurci a superare (sic!) la dimensione corporea, novello oppio dei popoli in versione digitale già preconizzata da Second life.

Ho “incontrato” i Kaipa (lo ricordiamo, formazione scandinava nata nei primi Settanta) scartabellando la biografia di uno dei miei musicisti preferiti del panorama neo-progressive, quel Roine Stolt che con l’esordio discografico dei suoi The Flower Kings nella metà dei Novanta (Back to the world of adventure, Inside Out, 1995 - un titolo, un programma!) sanciva, insieme ad altre pietre miliari del periodo, il ritorno in grande spolvero dell’Araba Fenice progressiva sulla scena internazionale dopo che ne era stata decretata la morte dai molti uccelli del malaugurio. Certo, la nuova veste del filone da noi più amato non era la sua replica settantiana (e per fortuna, aggiungo: nome-omen: “Prog”(ressivo) è evoluzione per antonomasia, tertium non datur!), essendo stato ri-vitalizzato da provvidenziali contaminazioni, in primis con l’universo del metallo: il resto è storia nota (si veda Salari M., Neo Prog: Storia e discografia essenziale, Arcana, Roma, 2020).

Il “ReMida” scandinavo Roine Stolt nelle sue numerose e prestigiose militanze e collaborazioni (mi limito a ricordare Transatlantic, The Tangent, The Sea Within, Jon Anderson), era entrato in formazione già nel 1974, appena diciassettenne (!), e vi è rimasto fino al 2005 (Mindrevolution, cui seguiranno Angling Feelings, 2007, In the Wake of Evolution, 2010, Vittjar, 2012, Sattyg, 2014, Children of the sound, 2017), realizzando pure la copertina dell’omonimo disco di esordio e riproponendoli recentemente nella variante Kaipa da Capo (Darskapens monotoni, 2016). Dopo lo scioglimento ad inizio degli anni ottanta, i Kaipa sono tornati in pista ad inizio 2000, pur con i dovuti avvicendamenti in formazione, su iniziativa del loro fondatore tutt’oggi erede e garante della continuità ultra decennale della band, il tastierista e compositore Hans Lundin, e dello stesso Roine Stolt, in forza anche ai “suoi” The Flower Kings in piena espansione.

L’ascolto dei primi 3 album (Kaipa, 1975; Inget Nytt, 1976; Under Solen, 1976), rigorosamente cantati in lingua originale e raccolti con altri inediti del periodo in un apposito cofanetto di rara reperibilità (The Decca Years 1975-1978), mi ha introdotto in una miniera ricca di melodie complesse e sovrapposte, labirintiche, intriganti, dove spuntano repentini ed imprevedibili cambi di tempo: il tutto a formare atmosfere dall’impatto emotivo irresistibile (il songwriting è “devastante”) che proiettano in un mondo immaginifico, fiabesco, con evidenti richiami alla tradizione folk nordeuropea.

Urskog, pubblicato a 5 anni di distanza da Children of the sounds (Hans Lundin, tastiere e voce; Per Nilsson, chitarre; Patrik Lundström, voce; Jonas Reingold – presente anche in altri due noti gruppi di scuola scandinava, fino all’anno scorso nei The Flower Kings, e Karmakanic; Morgan Ågren, batteria; Aleena Gibson, voce), composto da sei tracce, apre e chiude con brani di lunga durata in perfetto stile progressive (rispettivamente, circa diciannove e quindici minuti), testimonia una continuità espressiva mai venuta meno che conferisce alla band un inconfondibile marchio di fabbrica, rendendola unica e riconoscibile sin dalle prime note: e sappiamo quanto sia difficile raggiungere questo ambìto traguardo anche per i musicisti e i gruppi tecnicamente più dotati.

Nei Kaipa si coglie infatti un’originale alchimia fra una immediatezza espressiva “quasi naife” di sapore fiabesco e una complessità delle trame compositive ed armoniche che richiama il principio parmenideo della coincidentia oppositorum, ripreso da Nicola Cusano ed attualizzato nella psicologia analitica di Jung. Ma poggiamo per il momento sulla scrivania gli impegnativi volumi di storia della filosofia e il testo Simboli della trasformazione (1954, in Jung, Opere, tr. t. Boringhieri, Torino, 1965-2007) ed inseriamo Urskog nel lettore o, meglio, sul piatto (vade retro mp3!), stimolandoci così un sano incremento della dopamina, l’ingrediente neurofisiologico basilare per concederci una sana, duratura, benefica e non illusoria goduria musicale del tutto priva di effetti collaterali. Provare per credere. (MauroProg)