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THE ROOTWORKERS  "Attack, blues, release"
   (2022 )

Anvedi, di recente su queste pagine ho fatto della leggera ironia su un “boomer” che fa blues rock, ovvero l'esperto Snowy White [http://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=9499], e oggi ecco che mi capitano dei giovani che riportano in auge il genere. Sì, con molte spruzzate acid e psichedeliche, ma sempre di blues si tratta. Avevo concluso le mie considerazioni sul chitarrista inglese, ricordando che il blues affonda sempre nelle radici, cioè “roots”. Ed ecco dunque arrivare dalle Marche i Rootworkers, all'esordio con l'EP “Attack, Blues, Release”. Questo cosa ci insegna?

Ci insegna che appena diamo la patente di terza età ad un genere, qualcuno lo fa ringiovanire; o semplicemente, lo rispolvera. Lungi dall'essere “palloso”, come lo definivano gli Skiantos (non posso riportare per intero il titolo, altrimenti veniamo bannati), il blues in questi sei pezzi è fresco, non stantio. Certo che c'è da dirlo: sono stato spesso, per concorsi musicali, in Emilia Romagna e nel centro Italia, nella tripletta d'oro Toscana – Umbria – Marche. E ho notato che nell'underground l'onda rock, che sia blues, hard o country, non si è mai arrestata negli anni. C'è ancora uno zoccolo duro in età verde, che continua a tenere vivo questo filo rosso; o meglio, questo filo a stelle e strisce. Ovviamente, c'è anche dalle altre parti dello Stivale; ma in questa zona appenninica, il legame è particolarmente forte. Non so dire il perché.

Entrando nel merito, “Work all day” apre l'EP ricordando un tema cardine del genere, il lavoro, che porta via buona parte del tempo della classe lavoratrice: “Have no time for live my life”. Altro tema tipico è quello della solitudine, ed ecco “Lonesome boy”, titolo che fa pensare a tante altre lonesome, ma non è una cover. Il brano è aperto da un suono di chitarra dall'effetto che non riconosco: è una specie di “tremolo distorto”. Entriamo nell'acid blues, a tinte hard. Sento Jimi Hendrix sorridere da qui, anche ascoltando “Dirty ceiling”, in cui ci raggiunge anche l'armonica a bocca, direttamente dal garage di Jim Belushi. Il basso balla sullo shuffle di “The woman I love”, che a metà cambia brano e diventa psichedelico, accendendo il delay della chitarra.

Sempre il suono di basso mi resta particolarmente impresso, in “To leave”, che pulsa alla vecchia maniera analogica. Questo è il classico 6/8, cantato con voce ruvida. Il pezzo “Another night” è degno di chiudere questo breve EP, che comunica chiaramente: The Rootworkers riportano il calendario al 1978 (anno di nascita dei Blues Brothers). (Gilberto Ongaro)