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MASSIMO PRIVIERO  "Essenziale"
   (2022 )

Ma dov'era tutto questo tempo? Perché conosco solo adesso Massimo Priviero? Questo “Essenziale” è il suo quindicesimo album, e il primo risale al 1988. Beh, meglio tardi che mai! Il cantautore jesolano ha un vocione che ricorda quello di Barry McGuire, sì quello di “Eve of destruction”, e il suo modo di scrivere accordi e parole, la sua foga nel cantare, lo fanno apparire come un Bruce Springsteen de noialtri, il working class hero di cui abbiamo bisogno. Ah, in effetti, spulciando la biografia, si legge che il secondo disco “Nessuna resa mai”, del 1990, è stato prodotto da Little Steven, “quello con la bandana” sempre accanto al Boss, quindi il legame è proprio evidente!

“Essenziale” contiene 12 canzoni tra il folk e il rock, spesso dai ritornelli corali; melodie da stadio, da arena. Registrate durante la primavera del maledetto 2020, portano con sé tutto il dolore del tempo, ma anche la resistenza e la tenacia. “Redenzione” sfiora tutti i temi che ti aspetteresti da un cantautore in questi giorni; e infatti il ritornello recita: “Io sono qui a dirti quello che già sai, sono qui a dirti non temere mai, ma sembra la fine, sembra la fine, sembra la fine del mondo che abbiamo visto noi”. L'andamento epico è toccante, così come l'apparire del bouzouki, e le parole sono chiaramente rivolte alla classe lavoratrice: “Lo vedi bene anche tu cosa siam diventati, indifferenti al mercato finché siamo scaduti (…) governati da inetti e nullità senza fine, banditi del tuo domani, senza bene comune”.

In questi due anni sono state scritte tante canzoni sul lockdown, sulla psicologia messa in difficoltà, ma non avevo ancora trovato quella che va dritta al problema sociale: “Non hai idea del buco in cui è la vita mia, da quando persi il lavoro, durante l'epidemia”. “Rinascita” è rivolta ad un amico che non si sente da tanto, che però non si ha il coraggio di cercare, per non fargli vedere come ci si sente: “Tu non ci crederai, ma dovresti vedermi. Chissà, se fossi ragazzo, magari andrei via (...)”. Altro pezzo che contiene rabbia è “Bella vita”: “C'è un attimo in cui non sai più neanche il nome tuo (…) ma una dittatura di idioti non è il mondo mio”.

Priviero canta una fede cristiana incrollabile, diffusa nei testi, da “Imbattuto” (“Se incontri chi ti ha ferito, prova a non dirgli 'La colpa è tua' (…) nessuno può uccidere quel che è dentro te”) a “Tutto possibile”: “Se un nemico busserà, aprigli bene le porte”. Due volte torna l'espressione “Sali le scale del cielo”, qui e in “Vivi ragazzo”. “Un solo popolo”, che sembra essere il manifesto del disco, o di tutta una carriera, è un'invocazione all'unità umana, che inizia recitando le Beatitudini. E il ritornello è da accendini: “Siamo un solo popolo, un solo battito, un solo Dio. Siamo un solo popolo, un solo spirito, tu ed io”. Eh, ma va ascoltata, letta così non rende.

Il libero arbitrio è cardine del pensiero privierano, puoi scegliere che valore dare alla tua vita, come si ascolta in “Abbi forza”: “Decidi, puoi essere idiota e contento anche tu, drogarti per bene di social, di scemi e tv. Oppure potrai dire che sia tutto quello che sarà, né vittorie, pene né quel che vivrai, varranno una verità. Abbi forza ogni giorno che viene, ogni giorno che va”. Ci sono anche canzoni d'amore, come “Amore senza fine”, “Tutte le volte” ed “Abbracciami”, ma si può dire che sentimentali lo siano tutte, anche quando non rivolte a una donna. “Paradiso” è dedicata forse al padre, o comunque a qualcuno nell'aldilà, di cui Massimo immagina il momento di rivederlo: “Il giorno che ci rivedremo ti chiamerò con tutta la mia voce. Sarai in un angolo di paradiso, o in una terra dove c'è la pace. So solo che ci abbracceremo, e terrò forte la tua mano, so che dirai lungo la via 'Ora raccontami la vita tua'”.

Non resta che aspettare il prossimo concerto, per cantare con la folla! (Gilberto Ongaro)