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MARLENE KUNTZ  "Karma clima"
   (2022 )

Ancora prima di scrivere queste righe ed ascoltare “Karma clima”, sapevo che avrei scritto che i Marlene Kuntz io volevo ricordarmeli così, come la prima volta che li vidi, su consiglio e suggerimento di Luca, il quale neppure vi ricordo chi sia perché su queste pagine ho nominato più lui di Manuel Agnelli.

Era da qualche parte in Brianza, una sera d’estate tra sciami di zanzare, una Festa della Birra tipica del periodo. I Marlene avrebbero suonato tardi, questo era chiaro, ma – speravo – non così tardi. Perché a quel tempo nemmeno c’erano i cellulari e papà buonanima voleva che io rincasassi ad un’ora decente il sabato sera, visto che non c’era modo di comunicare eventuali ritardi.

Bé, prima di loro suonarono dei metallari cattivissimi, un brano dei quali lo ricordo ancora adesso, sebbene in piccola parte. Facevano un gran rumore, poi d’un tratto la musica si interrompeva e il cantante urlava: “Demonio!”. Poi ripartiva il frastuono. Ecco, fu verso mezzanotte e mezza che finalmente toccò ai Marlene salire sul palco tra l’acclamazione alcoolica generale. Attaccarono “MK” e fu una scossa elettrica devastante: era l’estate del 1994, all’attivo avevano solo “Catartica”, che era una gran botta e che resta, insieme al successivo (“Il vile”) e al terzo (“Ho ucciso paranoia”), il loro album che preferisco. Però era tardi, e la strada per casa non così corta: alla una in punto, come una Cenerentola col fuso orario, feci cenno a Luca che dovevamo andarcene. Guidava lui, che non fece una piega mentre ci allontanavamo a testa bassa, anche se dentro di me so benissimo che avrebbe voluto tramortirmi con una bottigliata in testa, nascondermi in un cespuglio e tornare a prendermi a concerto finito.

I Marlene li vidi poi altre volte negli anni successivi, la più memorabile delle quali fu a Monza sotto un enorme tendone affollato, dove ci saranno stati quaranta gradi umidi, peggio che nella Biosfera all’Acquario di Genova: era il giugno del 1996, sarei partito per la naja venti giorni più tardi. C’era sempre Luca, che continuava a ripetermi che tutto ciò che aspettava era il momento esatto in cui Cristiano Godano sarebbe impazzito, come tarantolato o posseduto, durante “Ape regina”, contorcendosi indemoniato sulla sua chitarra. “E Luca Bergia comunque è un batterista pazzesco”, concludeva immancabilmente.

Da lì, è passato più di un quarto di secolo, e i Marlene Kuntz – come i Verdena, come gli Afterhours, anno più anno meno, pausa più pausa meno - sono sempre in onda, ed è un piacere che lo siano: come osservatori super partes o testimoni della storia, hanno attraversato oramai tre decenni di indie nostrano, mutando pelle più in più di un’occasione, non sempre guadagnando l’approvazione dei fedelissimi della prima ora o suscitando entusiasmo smodato, lodi sperticate, ammirata approvazione.

Ma fossero anche soltanto un simulacro o un’entità istituzionale, resistono all’impietoso trascorrere del tempo ed alle mode passeggere, oggetto di un interesse mai del tutto placatosi, al punto da tollerare ogni loro svolta, divagazione, ridimensionamento, cercando anzi in essi la scintilla primigenia per dimostrare agli astanti una volta di più che il fuoco cova sotto la cenere anche quando sembra spento.

Tra discese ardite e risalite, rari momenti di ritrovata grandeur ed una costante ricerca di nuove forme, sonorità, linguaggi sui quali lavorare, “Karma clima”, su label Al-Kemi Records/Ala Bianca, vede la rentrée dei Nostri in formazione a cinque a ben sei anni da “Lunga Attesa”; forte di un progetto artistico e concettuale solido e stratificato, esplicitamente incentrato sulla questione ambientale – rischi, pericoli, sostenibilità, etica – ed affidato ad una serie di performance dai forti legami col territorio, l’album cela le sue profonde riflessioni sotto una patina di conciliante fruibilità.

Per chi - come il sottoscritto - fosse rimasto al feroce disprezzo di “Festa mesta” o alla violenta tempesta elettrica de “L’odio migliore”, qui si parla di ecologia (“Acqua e fuoco”), di cieli neri (“Vita su Marte”, con insinuante linea di basso), di buoni sentimenti (“Scusami”, toccante e nostalgica); ed anche se la ricercatezza lessicale in “Tutto tace” è sempre la stessa – forse ancora più ostentata - di “Ti giro intorno” o di “Una canzone arresa”, sparuti rimangono gli spigoli, in un crogiolo di elettronica arrotondata ove il disturbo sonico definitivamente si placa, smussato come ciottolo lisciato dalle acque.

A prevalere, almeno sotto il profilo formale, un profluvio di melodie ampie, aggraziate e centrate, interpretate da Cristiano in un registro che sa impennarsi in ritornelli armoniosi o indulgere ad un intenso intimismo nelle parti recitative (la chiusura à la Massimo Volume de “L’aria era l’anima”), un crooning vissuto che rifugge oramai ogni stilla di cattiveria o sdegno: tra il ritornello congesto e indigesto di “Cara è la fine” e quelli di “Lacrima”, “Bastasse” o “Laica preghiera”, quest’ultima con il featuring di Elisa, sembrano trascorsi eoni: ma è il nuovo corso - l’ennesimo – dei Marlene Kuntz, andrà benissimo così.

E se pure “La fuga”, forse l’episodio più prossimo ai vecchi Marlene, rimane morbida nella sua amara afflizione, compresa tra gli accenti percussivi dell’incipit ed il crescendo del prosieguo, forse significa che rivangare è inutile, guardiamo oltre.

“Karma clima” – ricco di spunti e carico di significati - non è un lavoro ostico, anzi. A parole, riflette e punge, maturo: ma appare accomodante, garbato, lieve. Non fa male, non si pretenda che ne faccia.

Ecco, forse i Marlene li preferivo quando davvero facevano male, scavando dentro alle nostre miserie e distruggendo macerie, quando camminavano in bilico su un filo sottilissimo tra nevrosi e furia intellettuale.

Ma è una questione personale: “Karma clima” è un ottimo disco, a patto di scordare per sempre quella Festa della Birra. (Manuel Maverna)