recensioni dischi
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STEVE BATES  "All the things that happen"
   (2022 )

In All the Things That Happen, uscito per Constellation Records, il compositore rock sperimentale Steve Bates, in passato attivo anche nei Black Seas Ensemble e in progetti collaborativi con Timothy Herzog e Sophie Trudeau dei God Speed You! Black Emperor, dà vita a un intricato sistema di frequenze e di simboli che si dipanano attraverso il suono e in questo magma primordiale vivono, si disfanno e si riformano, come in un susseguirsi senza fine di casi e di cause, filo di Arianna infinito che gioca a nascondino con noi in un labirinto infuocato.

L’ultimo lavoro di Steve Bates, insomma, è un insieme di forme complicate e insondabili, qualcosa di difficile da comprendere e da penetrare, che scorre di fronte ai nostri occhi e nelle nostre orecchie come lava incandescente. Le montagne russe sonore di brani come “Groves of… Everything!”, cancello d’accesso al disco, è tumultuosa e beffarda e pare allontanarsi ogni volta che proviamo a fermarla. Immagini di esplosioni e di rincorse nel vuoto caratterizzano il macigno che è “Bring On Black Fames”, un maestoso dipinto pollockiano a metà tra Acid Mothers Temple e soprattutto Kevin Drumm. Magie di difficile decifrazione permeano invece “Covered in Silt and Weed”, levigata e fumosa, così come è altrettanto affascinante e ipnotica la martellante “Glimpse an End”, tra momenti tranquilli e allucinazioni improvvise.

L’idea di musica di Bates è proprio questa: riuscire a dare continuità e coerenza interne a ogni suo progetto grazie alla sua versatilità e maestria con lo scopo di attraversare le più strambe e inquietanti frammentazioni ritmiche e melodiche fino a giungere a un punto di non ritorno. Parlando di questo nuovo progetto Bates ha detto che "this was the first time I was excited by strange sounds''; quanto i rumori, i toni strani e dissonanti e i concetti di staticità e distanza abbiano concorso nella creazione di un disegno così potente e di ampio respiro si può solo immaginare.

L’immaginazione, però, lascia presto il passo alla realtà, e questa volontà di esplorare e di muoversi su binari desueti che incrociano territori più noti si rintraccia ovunque. Nel ricchissimo mondo dell’elettronica sperimentale melodie antiche risuonano e in parte rivivono, ristrutturate e rivisitate, nei beat ossessivi che affollano pezzi come “September Through September”, nelle allucinazioni industrial di “We Do Not, Nor to Hide”, negli alti bassi umorali e sonori della sinistra “Glistening”. È un’esperienza conturbante, difficile, che sembra portare l’ascoltatore in una gola strettissima tra montagne innevate, dove distinguere il cielo da tutto il resto è difficile. Con questa luce negli occhi si scivola nella tenebrosa “Glimpe an End”, che è una delle vette del lavoro, sorta di carta di visita per l’opera e tutto il suo autore. In All the Things That Happen Steve Bates continua a sorprenderci senza cambiare mai. (Samuele Conficoni)