recensioni dischi
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PERIGEO  "One shot reunion"
   (2022 )

“Per parlare poco (…) avrei mille cose da dire, tanti ringraziamenti, però, suoniamo, poi (...)”. La timidezza al microfono di Giovanni Tommaso, nonostante ciò che il suo storico progetto rappresenta per la scena italiana e internazionale, è un bell'esempio umano, di chi mette la musica in primo piano. Dicono che più grandi si diventa, e più si diventa umili. E così, alla fine de “La valle dei templi”, durante questo concerto – reunion del 2019, riscaldato da un caloroso pubblico, il bassista e contrabbassista fondatore dei Perigeo, si è sentito in dovere di specificare: “Mi sono dimenticato di dire che 'La valle dei templi' è di Bruno” (riferendosi a Bruno Biriaco, batterista della prima formazione). Niente, volevo sottolineare questo atteggiamento, da parte di un musicista che potrebbe permettersi di sparare a zero come Roger Waters, e invece quasi chiede scusa di parlare, in mezzo a composizioni completamente strumentali.

“One Shot Reunion” è un live che riunisce quasi tutta la prima formazione dei Perigeo: Giovanni Tommaso a basso e contrabbasso, Claudio Fasoli al sax, Bruno Biriaco alla batteria, ed Anthony Sydney alla chitarra. Alle tastiere c'è Claudio Filippini, ed alle percussioni Alex “Pacho” Rossy. Svoltosi a Firenze, questo concerto riporta brani tratti dalla loro discografia, cioè i cinque dischi “Azimut” (1972), “Abbiamo tutti un blues da piangere” (1973), “Genealogia” (1974), “La valle dei templi” (1975) e “Non è poi così lontano” (1976).

Se fate caso agli anni di pubblicazione, potete notare che si tratta dello stesso periodo (d'oro), in cui negli Stati Uniti la fusion si andava definendo in maniera più netta, grazie ai Weather Report. Ecco perché non si esagera, a riconoscere nei Perigeo un punto di riferimento riconoscibile anche all'estero. A parte che la musica italiana era al centro dell'attenzione, accanto a quella britannica; c'era un continuo scambio di spunti, non solo un assorbimento passivo. Basti sentire l'assolo di chitarra “à la Santana” di “Via Beato Angelico”, o l'assolo di contrabbasso con archetto di “Genealogia”, che ricorda l'intenzione dell'art rock, di unire la musica colta a quella popolare. Difatti, mentre con altre grandi formazioni tricolori come Le Orme, Banco del Mutuo Soccorso e Premiata Forneria Marconi, si parla puramente di “progressive”, qui è più corretto parlare di “jazz rock”, perché l'approccio è quello dell'improvvisazione su dei temi di partenza, come si sente chiaramente con quello “Sydney's Call”, suonato all'unisono da chitarra e sax.

Per scrivere poco, avrei mille analisi tecniche da riportarvi, però, ascoltate, poi... (Gilberto Ongaro)