recensioni dischi
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JOSEPH PARSONS  "Holy loneliness divine"
   (2022 )

“Holy Loneliness Divine”, dieci tracce per quarantacinque minuti su etichetta Meer Music/Blue Rose Records, è folk-rock tradizionale fatto da chi ne mastica da un quarto di secolo: melodie a profusione, ballate carezzevoli in quattro quarti, crooning delicato e confidenziale delineano il perimetro di un album che si muove agile entro la consueta comfort zone, quella in cui Joseph Parsons si destreggia con la classe cristallina del veterano e la semplicità richiesta al genere.

Rispetto al rock sostenuto e squadrato che caratterizzava “At Mercy’s Edge” non più tardi di un anno e mezzo fa, il nuovo capitolo – il quindicesimo – della prolifica saga mostra l’altra faccia della medaglia, tornando a smussare gli spigoli e decisamente orientandosi a sonorità rotonde e morbide; realizzato con la Joseph Parsons Band, è l’album che segna la dichiarata conclusione del sodalizio, con i vari membri in procinto di dedicarsi ciascuno ai propri progetti solisti da qui in avanti.

Gradite conferme e nessuna sorpresa – e va bene, va bene così - arrivano dal consueto placido fluire di brani mid-tempo, arrangiati con sobrietà ed eseguiti con perizia calligrafica da un ensemble tanto rodato quanto efficace nel declinare a modo suo l’Americana da highway così cara oltreoceano, fatta di canzoni adorabili, nessuna meno che piacevole.

Tra echi di Willie Nelson e Gram Parsons, spiccano l'abbrivio reggae di “Invisible” ed il passo sornione di “Bookshop Mary”, la pacatezza acustica di “Full Moon Tide” e la profondità di “Thankful”, palpitante chiusura in lento crescendo; magari non ci sarà il pezzo-killer o la zampata che sa di evergreen (anche se “My My Caroline” ci si avvicina), ma è più che abbastanza per un album che è un saggio di rock classico, nel solco di quella tradizione che non morirà mai. (Manuel Maverna)