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ALESSANDRO SERAVALLE  "Morfocreazioni I-V"
   (2016 )

Sono passati ormai quasi 55 anni dalla pubblicazione di Gesang der Junglinge Kontakte di Karlheinz Stockhausen (1968), maestro-pioniere dell’avanguardia, della musica elettronica e seriale, e una quarantacinquina da quando, seguendo il consiglio un po’ sbarazzino di un amico (voleva “vedere di nascosto l’effetto che fa”, citando il grande Jannacci), lo ascoltai per la prima volta, ma ricordo ancora che ne rimasi impressionato, starei per dire scioccato, non avendo mai immaginato che potessero esistere musiche del genere.

Un turbamento che tuttavia mi innescò una curiosità, tutt’oggi immutata, per un mondo sconosciuto ed inquietante, attrattivo e repulsivo nel contempo. Originato dalla musica classica, questo genere ha trovato espressioni anche nelle varie articolazioni di quello che allora si definiva “pop rock”, dove veniva genericamente indicato con “sperimentazione”, termine usato e tutto sommato valido anche oggi.

Demolendo radicalmente le strutture della melodia e del songwriting e violando ogni consuetudine ed aspettative di ordine ed armonia, al primo impatto l’ascolto risultava assai indigesto e di difficile fruizione, spesso riservata ad una nicchia di temerari. I suoi riferimenti estetici andavano ben oltre i canoni classici e neoclassici del bello legati principalmente all’arte greca e rinascimentale, includendo le dimensioni del negativo, del perturbante e del grottesco (sto pensando a Rosenkranz e al suo pionieristico e provocatorio “Estetica del brutto” (1853, tr. it. Il Mulino, Bologna, 1984).

Nel decennio dei Settanta la sperimentazione musicale incontrò un significativo seguito, Italia compresa, con artisti specificamente dediti a questo filone di ricerca, spesso (ma non necessariamente) legato a forme di contestazione politica, così come in diverse band dedite ad altri stili, nelle cui produzioni discografiche trovava uno spazio più o meno ampio.

Gli esempi sarebbero troppi e pertanto mi limito a citare alcuni fra i più significativi (a mia memoria): nella psichedelia-elettronica (Pink Floyd del periodo Barret, Brian Eno, Kraftwerk, kraut rock), nel rock, progressive e non solo (il “gigante” FrankZappa(!), Robert Fripp, Amon Duul, Magma, Stormy Six), jazz-rock (Area, Henry Cow, Weather Report), senza contare il pianeta free jazz, suo campo elettivo, fino all’ estremismo “ufologico” di Sun-Ra [ricordo ancora il gesto del tapparsi le orecchie assalite dalla cacofonia di note emesse dalla sua Arkestra da parte di alcune persone sedute accanto a me ad un concerto tenuto al Giardino Scotto di Pisa, preceduto da uno Steve Lacy che suonava il suo sassofono passeggiando ai piani alti del palazzo all’interno dello stesso Giardino], nonché nella vasta e variegata discografia di un artista di inestimabile valore come Franco Battiato, nel periodo più “elettronico” della prima metà dei Settanta (Fetus, Pollution Sulle corde di Ares, Clic, Feedback, Telai magnetici, Ml.le le Gladiator) o di matrice classica, nella seconda metà (Battiato, Juke Box, L'Egitto prima delle sabbie).

Queste forme musicali di frontiera, complesse e bizzarre anche per il loro “andare contro corrente”, non hanno mai smesso di stimolare in molti artisti un interesse che prosegue tutt’oggi, artisti che devono fare i conti con notevoli difficoltà di trovare spazi e bacini d’utenza adeguati, come si può facilmente immaginare.

L’ho fatta fin troppo lunga e vengo all’autore e al disco oggetto della recensione, dove tuttavia possiamo ritrovare quanto finora detto. Mi auguro pertanto che questa lunga premessa e lo sforzo che avete fatto per arrivare fin qua, ne agevoli l’approccio. Noto come membro fondatore dei Garden Wall, definitisi come Avant-garde-Progressive-ExperiMetal band, Alessandro Seravalle (recentemente intervistato, http://www.musicmap.it/interviste/new.asp?id=1089), non è certo un neofita del settore, potendo vantare una corposa produzione discografica, da solo, con il fratello Giampiero e altri musicisti (vedi l’intervista sopracitata).

Fin dai primi minuti Morfocreazioni I-V, diviso in 5 episodi continuativi, ci proietta in un avvolgente ed inquietante universo sonoro caratterizzato da un andirivieni di dissonanze, rumori, voci e cacofonie dove la componente melodica è ridotta ai minimi termini. Se non osate mettere in discussione le consuetudini musicali o siete avversi a tutto ciò che non rientra nei vostri canoni estetici “…lasciate ogni speranza voi che entrate I-V (mi perdoni il Sommo Poeta fiorentino per il richiamo fuori contesto), se invece siete disposti a bypassare ogni aspettativa di armonia ed intendete percorrere sentieri inediti, non resterete delusi.

Messa al bando ogni ipocrisia musicalmente corretta mossa dai criteri usa e getta del profitto commerciale e del gradimento estetico programmato, Morfocreazioni I-V ci mette di fronte agli anfratti più contraddittori della mente e di una società liquida (per dirla con Zygmunt Bauman) sempre più frammentata e digitalizzata che l’autore, nella sua “Officina”, ha il coraggio e il merito di tradurre in orizzonti sonori. E se la musica, come si legge nella citazione del filosofo romeno Emil M. Cioran riportata nell’interno copertina, “ci dà le risposte ultime”, la ricerca musicale di Alessandro Seravalle ci offre un contributo significativo in questa direzione. (MauroProg)

Alessandro Seravalle · Morfocreazione II Κένωσις (for 2 electric gtrs, Baritone electric gtr, Knife and live electros)