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LAIKA NELLO SPAZIO  "Macerie"
   (2022 )

Può essere che questo nuovo album dei Laika Nello Spazio - trio di Rho ammirato ai tempi del debutto di “Dalla provincia” tre anni orsono – richiami in ordine sparso qualche modello ben noto, ma in fondo la cosa non riveste alcuna importanza: il disco – ça va sans dire – è anche stavolta una gran bella sberla in piena faccia, poco contano le affinità, le divergenze ed il tentativo esplicito di rendere più digeribile una musica per sua stessa natura ostica e spinosa.

Pubblicato per Overdub Recordings, “Macerie” ripresenta la band nella stessa line-up del debutto – Vittorio Capella, Simone Bellomo, Marco Carloni - con la medesima urgenza, il consueto carico di negatività e l’abituale foga, fatta di ritmi incalzanti e martellante incombenza.

Formazione atipica con due bassi e batteria, costruiscono sorprendenti melodie fatte a pezzi da temi pesanti come macigni: i testi sondano i recessi più reconditi dei bassifondi di vite sbrindellate, anfratti in cui una piccola umanità brulicante sgomita per un posto in penultima fila, tra rimandi all’attualità ed un esistenzialismo incupito e perdente. Marginalità sotto cieli plumbei, con minime speranze di un miglioramento che comunque non arriverà.

Il bello di questo disco è che mena fendenti mentre si lascia canticchiare; il più bello è che quello che ha da dire lo dice senza filtri, e nemmeno con le buone maniere. Sta lì a ricordarti ciò che non va, né mai andrà: azzecca alcuni portentosi singalong anthemici, ritornelloni insinuanti da latrare a squarciagola, intrecci armonici che sono altrettanti prodigi. E intanto, giù bastonate, per gradire.

E’ talmente centrato e a fuoco, che ben volentieri gli si perdona anche di baloccarsi un po’ troppo col totem dei Massimo Volume (“Film noir”, “Una preghiera”), dai quali riescono tuttavia a distaccarsi grazie ad inattese accelerazioni e aperture alla forma-canzone. Poco conta, dicebamus: i quattro brani iniziali sono un focoso assalto a testa bassa, aperti dalla desolata post-love-song sui generis della title-track e culminanti nella godibilissima mazzata di “Schrödinger”, innodica filosofia del nulla in tre minuti.

A sprazzi, fa capolino qualche precaria oasi nel deserto buio e soffocante: “Evento sentinella” ha una colta delicatezza che – temeraria - si spinge a lambire i Marlene Kuntz, prodromo alla chiusura dimessa di “Condizione esistenziale”, a suo modo una storta poesia, amara come tutto il resto del pranzo, ma forse con una briciola di speranza data in pasto ai rassegnati commensali per addolcirne il palato.

Pia illusione, finta pure quella, effimera nella migliore delle ipotesi: anche adattarsi somiglia ad una vittoria, se l’alternativa non c’è. (Manuel Maverna)