recensioni dischi
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THE SADE  "Nocturna"
   (2022 )

Ciò che personalmente più amo del gothic-rock è la sua anacronistica ostinazione, una sorta di caparbia resistenza al mutamento che si porta dentro da quarant’anni e più, senza che mai venti di cambiamento ne scalfiscano la scorza dura.

The Sade sono Andrew Pozzy (voce e chitarra), Silvia (basso) e Matt Sade (batteria), trio originario di Padova, attivo dal 2008 e giunto con “Nocturne” al quarto album di una carriera che li ha visti dividere palchi importanti con band di rilievo internazionale. Pubblicato per Go Down Records, giunge a cinque anni di distanza da “Grave”, a nove da “II”, a undici dal debutto di “Damned love”, in un percorso di progressivo affrancamento dal canone hard-rock degli esordi (ne rimangono tracce nella coda di “Long live death” come nella cavalcata marziale di “Another prayer”), in direzione di un sound incupito e di una interpretazione meravigliosamente catacombale.

Aperto dalla sassata programmatica à la Sisters Of Mercy di “Sinner”, dalla ballata crepuscolare di “End of time” - che piacerebbe a Robert Smith - e dal passo minaccioso di una “No mercy” in zona Fields Of The Nephilim, l’album mette in fila quarantadue minuti segnati da tutti i crismi che si convengono al genere: chitarra effettata, riff incisivi, bassi imperanti sia nelle musiche che nella vocalità di Andrew, impostata su un adorabile baritono à la Eldritch, synth (affidati a Maurizio Baggio) dilaganti, tonalità immancabilmente minori, testi oscuri che ben dipingono un immaginario consono al milieu di elezione.

In un florilegio di atmosfere plumbee e melanconica desolazione, si susseguono numeri d’alta scuola e sontuose riletture del canone: il rallentamento sepolcrale di “King and queen”, lo struggente arpeggio dark-folk di “Lullaby” - una via di mezzo tra David Eugene Edwards e Handsome Family – e le staffilate che scuotono “She dies” sono altrettanti esempi di maestria applicati ad una musica che il tempo ha conservato immutata.

Solo in coda la tormenta si placa, trovando pacificazione nella lenta, mesta ballata di “Flatline” (forse memore dell’ultimo Johnny Cash), nel breve intermezzo di “Drama”, infine nella sfuggente melodiosità di “Reflection”, che chiude rigonfia di pathos un disco di rara perfezione formale, intriso di un sentimento fosco e decadente; arricchito da una scrittura raffinata e da una produzione calibrata ad arte, “Nocturne” è una cornucopia di afflizione riempita con tutti i trucchi del mestiere, una discesa nelle buie profondità che albergano in fondo all’anima di ciascuno di noi. (Manuel Maverna)