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BAD KINGZ  "Take me in your kingdom"
   (2023 )

L’amore per il rock blues non morirà mai. Se ancora ci fosse il bisogno di provarlo, si ascolti questo disco, debutto degli anglo francesi Bad Kingz, che han saputo sfornare una manciata di brani intrisi di sofferenza, sudore e forza. Poche banalità e tanto groove, tanta voglia di trasmettere r’n’r che ha fatto di quest’album un onesto tributo ai classici del rock. Non è facile imbattersi in una band dove è palpabile la convivenza tra bravi musicisti ed un buon cantante, specialmente quando è dotato ed espressivo.

Per i Bad Kingz il gioco poteva essere molto semplice, anche perchè i tempi che corrono inducono a fare certe scelte. Mi riferisco alla possibilità di vivere dignitosamente con una paghetta assicurata scegliendo di diventare l’ennesima cover band di Led Zeppelin, Deep Purple o AC/DC, perchè, sembra, i locali hanno consumi assicurati con rassicuranti canzoni rock famose o comunque conosciute. Pertanto è sicuramente da ritenere coraggiosa la scelta di liberare comunque del sano rock blues, che però fosse originale, espressione di chi il r’n’r lo vive sul serio.

Per spiegare quindi la musica dei Bad Kingz, azzarderei qualche riferimento. Su sponda inglese ce ne sarebbero a iosa, considerato che molte band importanti sono nate proprio in terra d’Albione, ed è grazie a loro se il blues ha avuto una certa evoluzione. I nuovi Bad (Kingz) Company? Da parte francese invece, pensare a rocker di razza è già più complicato, anche se non difficilissimo. Mi vengono comunque in mente gli enormi Trust, legati indissolubilmente agli AC/DC, per esempio.

Tornando ai Bad Kingz, l’impatto che li vede protagonisti in questo loro primo album, è diretto e sincero. Li immagino come musicisti capaci di grandi cose ma anche di sane scazzottate, giusto per aver poi qualcosa da raccontare. Colpisce la compattezza della band e la chitarra di Chris Savourey, un musicista letteralmente malato di blues e che all’occorrenza sa ricorrere al virtuosismo senza comunque alterare l’alchimia sprigionata del suono della band. Non male per un disco frutto dell’isolamento da covid.

Ultimo tassello: vederli all’opera dal vivo, sopra un palco e direttamente a contatto con un pubblico. Sarà interessante. (Mauro Furlan)