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FATTORE RURALE  "Raccolgo la notte"
   (2023 )

Il country rock americano incontra la lingua italiana, e la campagna di Piacenza. “Raccolgo la notte” è il nuovo album dei Fattore Rurale. La cosa che salta all'orecchio è la voce di Marco Costa, rauca e quasi afona, che graffia continuamente, rendendosi espressionista nelle parole che veste. Ricorrenti sono le sensazioni di fatica e dolore, mescolate a passionalità a tinte forti: “La mia testa è arida (…) brividi di freddo dal passato, labbra mi baciano, labbra mi incatenano”. “Stricnina” racconta un profondo disagio e un tentativo di suicidio, per uscire da una condizione di malattia (“Sputo sangue a ogni colpo di tosse”). Toccante il ritornello: “E adesso vattene, voglio dormire. Ti prego, vattene, non vuoi capire? Lasciami solo, no, non mi aspettare, adesso ho solo voglia di dormire”. Non so perché ma mi è venuto in mente Johnny Cash nel video di “Hurt”...

C'è una forte tensione, che poi è quella che conosciamo tutti, tra i desideri carnali più forti, e la trascendenza. “Liberaci dal male”, su ritmo shuffle, contempla questa tremenda consapevolezza della contraddizione umana: “Aspetto rassegnato la pena capitale, Signore mio beato, liberaci dal male (…) all'inferno non c'è distinzione”. Più avanti, il contrasto torna più forte in “Porco! Lassù qualcuno mi ama”: “Dormo sulla tomba della mia principessa, croci tatuate sulle sue braccia. (…) Non riesco a respirare, incubi e sangue. (…) Mi sento trascinare, il pavimento è freddo, stretti nelle mani sanguinano gli occhi. Ti ricordi quando ti ho pulito la schiena con la mia saliva? Porco! Lassù qualcuno mi ama”.

“Medellin” è una dedica a Pablo Escobar, mentre “Tu hai i miei occhi” è uno di quei brani intensi dei Rurale: “Mi hai buttato per strada, come una delle tante sigarette che hai fumato, e non fumerai più. Sento l'asfalto freddo grattarmi pesante la faccia, mentre tu passi veloce, e adesso non passerai più”. Lo stesso vale per “La pioggia picchiava gennaio”, dove il nostro agricoltore indugia sulle caviglie di lei, il “rossetto da troia” e le “unghie affilate”. Ma “non ci sei più”: lei è un ricordo che riaffiora. Il rapporto con le donne, per i Fattore Rurale è spesso problematico, anche a guardare il video di un brano del disco precedente, “Punto G”. Spesso si tratta di una femme fatale... o una psicopatica! Ma a noi piace così, la vita: dionisiaca!

“Figli di Icaro” accelera i battiti, e correndo arriva una strana sferzata: “Vaffanculo agli anni Ottanta, all'ora dell'aperitivo, e alla caduta del muro di Berlino”. Dico strana, perché farebbe emergere un pensiero nostalgico della cortina di ferro; quindi forse, antiamericano? Sopra una musica americanissima quale il country? Ma qui la riflessione dovrebbe andare oltre i confini Rurali, spingendosi fino al Piano Marshall, e alla pervasività della cultura a stelle e strisce (e delle sue basi militari...). Del resto, i cantautori italiani, tradizionalmente “rossi”, hanno spesso attinto dal country; mi viene in mente ad esempio De Gregori, ne “Il bandito e il campione”. Sarebbe interessante approfondire questa contraddizione, ma torniamo alla Fattoria.

Si continua a correre con “Vertigine”, dove la voce raggiunge anche degli acuti sforzati, per una storia allegorica dedicata ad una donna in lotta, che “si stringe nel giubbotto perché il vento è troppo forte”. Ti sembra quasi di vederla, questa Vertigine, che corre con le trecce da cheyenne! Il desiderio di dormire e il tabacco tornano a chiudere l'album in “Mille sigarette”: “Se questo è un sogno, io non mi voglio più svegliare”. La musica dei Fattore Rurale fa davvero sognare il deserto tra le Montagne Rocciose, ed è un'esperienza viscerale. (Gilberto Ongaro)