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THE VAD VUC  "Album postumo (breve antologia di ordinarie violenze quotidiane)"
   (2023 )

Sia pure inquadrabile in una prospettiva storica specifica, tra le colpe indelebili del fascismo (che oggi pare uno zombie particolarmente vivace nelle stanze dei bottoni), c'è l'avversione ai dialetti e alle minoranze linguistiche e culturali.

Detto ciò, non tutto ciò che si esprime in vernacolo è degno di nota: spesso ci si ferma a stucchevoli nostalgie dei bei tempi andati, come in certe trasmissioni tv per anziani.

Pensiamo alla letteratura. Belli e Porta hanno raccontato la loro Italia meglio di invisibili romanzieri che il paese non ha avuto, a differenza della vicina Francia, e senza scomodare Pasolini va dato atto a poeti come Franco Loi e Biagio Marin di aver rappresentato i propri tempi in modo originale anche grazie al loro posizionamento espressivo.

In musica è la stessa cosa, e va salutato con favore chiunque tenga alta la bandiera della propria identità come segnale di unicità, e anche di fragilità che diventa forza e capacità di coinvolgere.

Sergio Bruni, a parere di chi scrive, ha raggiunto vette inarrivabili, così come Pino Daniele se pensiamo a un capolavoro inimitabile come "Nero a metà". In area lombardo-insubrica una cifra di innegabile originalità, anche per il posizionamento propriamente musicale, hanno figure come Davide Van De Sfroos e i suoi cugini elvetici, i Vad Vuc. Di cui esce il nuovo album.

Ecco, se i 99 Posse, Edoardo Bennato o Roger Waters si fondessero in una unica figura sonora e volessero cantare anche nei dialetti del comasco e/o del canton Ticino, suonerebbero così, massicci e incazzati.

Nel nuovo disco spicca l'omaggio a Giorgio Gaber, paladino della lotta alla stupidità imperante, opportunamente campionato, e oltre al citato De Sfroos ospite d'onore anche la voce di Enrico Ruggeri. Un disco che non sfigurerebbe firmato dai mitici Pogues, che ha un titolo che è tutto un programma, un po' alla Robert Musil, "Album postumo (breve antologia di ordinarie violenze quotidiane)".

Un disco di protesta e anche di proposta. Il gruppo è composto da Michele "Cerno" Carobbio, voce, chitarra, mandolino, Giacomo "Jacky" Ferrari, basso e banjo, bouzouki, contrabbasso, percussioni, Sebastian "Seba" Cereghetti, mandolino, trombone, cucchiai, bombardino, Davide "Boss" Bosshard, susafono e tastiere, Fidel "Fid" Esteves Pinto, flauti e tromba, Fabio "Mago" Martino, fisarmonica, tastiere, percussioni, Roberto "Drugo" Panzeri, batteria, Alberto "Albi" Freddi, violino, Simone "Savo" Savogin, voce e cori.

Un collettivo in piena regola, quello dei Vad Vuc, che fa leva sulle sofferenze personali e collettive per disegnare un orizzonte di indignazione e di riscatto possibile, anche grazie a un linguaggio esplicito come i grandi dialettali del passato prima citati non certo lesinavano se occorreva.

Un disco di resistenza attiva e resilienza, come usa dire oggi, per non dire più sì all'esistente a testa bassa, per non essere passivi spettatori (di orrori come la guerra, il femminicidio, lo sfaldamento sociale) ma artefici della propria consapevolezza. Voto 7,5. (Lorenzo Morandotti)