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DEPECHE MODE  "Memento mori"
   (2023 )

Lo sappiamo, da decenni, ormai. Che gli album dei Depeche Mode devono essere ascoltati e riascoltati, per capire quanto delle cose recenti possano poi essere aggiunte alle scalette dei concerti e, soprattutto, ai gusti di chi li segue da 10, 20, 30, 40 anni. E che non sarà più possibile risanare eventuali fratture tra chi preferiva la versione upbeat che è stata, diciamo, fino al 1993, e quella successiva, ormai trentennale.

Premesso questo, "Memento mori" non è un album come gli altri, perché è il primo nella versione extralight figlia del decesso di Fletch, e che ad un certo punto si era anche temuto, tra i fans, che non si sarebbe più andati avanti. Però qualcosa in pentola già stava bollendo, e quindi eccolo qua. Nella sua maestosità e nella sua cupezza, andando a cercare meno chitarre e più elettronica, con svariati accenni ai Kraftwerk ("People are good" e "Wagging tongue" sembrano quasi dei testi su basi già edite dai germanici, per intenderci), il gioco funereo del singolo "Ghosts again", le sgommate sparse qua e là a partire dall'esordiente "My cosmos is mine" fino alla finale "Speak to me".

Il problema, però, rimane sempre lo stesso. Anche nelle liturgie più sacre ci sono sempre momenti in cui una qualche rottura di ritmo alza un attimo l'attenzione (sarebbe da dire "la palpebra", ma si rischia la blasfemia, anche per i DM). E in questi blues elettronici continuano a mancare quei pezzi da coralità, da stadio, che sono poi quelli che vanno a foraggiare le gioie di chi non aspetta tanto l'album ma il successivo tour.

Ecco, forse solo "Never let me go" qualcosa in questo senso lo potrebbe produrre, andando a richiamare la curiosa necessità di far gioire i nostalgici al quadrato, ovvero quelli che non solo vogliono i Depeche Mode - e già questa è una prova di amore per il vintage - ma li vogliono vecchio stile. A meno che non sia un trucco, come avvenuto già in precedenza (citofonare "Going backwards", da "Spirit"): noi, diranno i due, ve le proponiamo quasi spoglie e soft. Poi starà a voi dj energizzarle a vostro piacimento, rendendole a volte anche migliori dell'originale.

Bene, quindi che fare, di questo "Memento mori"? Quello che si fa da tanto a questa parte, ovvero provare a sentirlo una volta, provare a sentirlo due volte, provare a sentirlo tre volte, e cercare di estrarne una chiave di lettura che vada oltre la superficialità dei tempi attuali. Tradotto, dimenticatevi di ascoltarlo in modo fugace, en passant, o cercandone solo gli highlights come fanno ora gli imberbi. E poi solo la storia dirà quanto resterà nelle memorie accanto a quello che fu.

Però, carissimi Dave e Martin. Lo vedrete anche voi che nei concerti la gente impazzisce quando può ondeggiare le braccia davanti ai possenti inni storici, e possibile che di nuovi - e lo sapete fare ancora, se solo ne aveste voglia - proprio ne fate con il contagocce? (Enrico Faggiano)