recensioni dischi
   torna all'elenco


DOS CABRONES  "Transumanza"
   (2023 )

E’ uscito di venerdì 17, la data è perfetta.

Crudo e malevolo, ricoperto da una spessa coltre di elettricità buia e soffocante, “Transumanza”, su label Grandine Records, vede il ritorno dei Dos Cabrones a quattro anni dall’esordio di “Accanimento terapeutico”, già di per sé biglietto da visita esplicito e diretto.

Emiliani d’Appennino, Marco e Riccardo sono un power duo chitarra-batteria che rinuncia alla parola, esprimendosi per il tramite di un rumorismo virato math tanto brutale quanto efficace: sette nuove tracce per quarantaquattro minuti ubriacanti, un incessante martellamento rotto soltanto dai sample vocali incollati ad arte in testa o in seno ai brani per introdurre o sviluppare gli argomenti trattati. Le sonorità pescano a piene mani dal noise americano anni ’90, con correzioni sludge, echi stoner ed ogni possibile variazione sul tema, insistendo sì sul medesimo registro del debutto, ma inasprendone ancor più le trame asfissianti ed opprimenti.

Ogni brano è feroce quanto basta a definire la proposta, si tratti delle suggestioni à la Unsane di “Vespa Crabro” o della stordente onda d’urto de “La scimmia di Dio”, della frenesia singhiozzante di “Podrido” o degli stop-and-go snervanti di “Cassio-Bruto-Giuda”. Aprono e chiudono questo rito sacrificale pagano i due episodi più lunghi ed inquietanti: i dieci minuti di “S’accabadora”, cadenza mortifera sventrata da innumerevoli contorsioni, e i nove di “El chupacabra” (grunge & metal in simbiosi, unico episodio cantato), saliscendi a fiato sospeso tra accelerazioni repentine e disturbi d’ogni sorta, effimera quiete e grida belluine fusi in un crogiuolo memore dei migliori OvO.

La discesa nel maelstrom è inarrestabile, il clima rimane pesante, il mood non muta, a ribadire la direzione del progetto: il gioco si fa peso e tetro, ed in fondo è il suo bello. (Manuel Maverna)