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25/10/2014   FRANCO BAGGIANI
  'Per essere sé stessi occorre semplicemente essere sé stessi...'

''Memories Of Always'' è il tuo tredicesimo album solista, un esperimento tra jazz, rock e funk nello stile davisiano anni ’70: com’è nata questa idea? ''In questo lavoro, pur avendo mantenuto nell'impianto globale un certo sapore davisiano anni ‘70, ho guardato ad altro, gli anni ‘70 certo, ma non solo di Davis, anche di Ornette e di Sun Ra e molto mi ha ispirato l'ascolto di Alfredo Casella, e di alcuni compositori seriali italiani del secolo scorso. Se la partenza può sembrare davisiana, l'arrivo non lo è di certo''. Che tipo di "chiave di lettura" hai usato per tenere insieme le visioni del jazz di grandi come Miles e Sun Ra, la tua ricca esperienza personale e la composizione seriale del ‘900? ''Una chiave di lettura semplicemente provocatoria: non c'è niente di più vicino di mondi così lontani accomunati dalla stessa voglia di innovazione e ricerca… La composizione seriale segna uno spartiacque così grande con il passato così come il free jazz o il jazz di Miles degli anni ‘70 con il jazz della tradizione. Fa parte di una idea precisa che mi sono fatto nel tempo''. A proposito di Alfredo Casella, autore di pagine sinfoniche e pianistiche decisive per gli sviluppi novecenteschi, a quali sue opere hai guardato con particolare interesse? ''Amo tantissimo le ''Pagine di guerra'' in cui lo spirito del compositore si esalta all'interno di un quadro patriottico ben preciso, ma anche le pagine sinfoniche e le opere per pianoforte, tutte splendide e colme di idee geniali ed ispiratrici. Una parola in particolare per la ''Donna serpente op. 50'', a mio avviso un vero capolavoro''. Che differenze ci sono tra ''Memories Of Always'' e il tuo precedente album ''My Way Through The Jungle''? ''Ci sono differenze notevoli: ''My Way Through The Jungle'' è un omaggio, personale e non didascalico, al Miles del periodo '69-'74, ''Memories Of Always'' invece è una sintesi di tutti i lavori che si frappongono fra questi due album, lavori più radicali come ''Thinks'', ''Florentine session'' e ''Dead city'', nei quali i miei orizzonti si sono confrontati con l'improvvisazione totale, e poi i musicisti, assai diversi e con qualità diverse; quello che non è cambiato mai è che le registrazioni vengono fatte live, vere e proprie session improvvisate in studio''. Il riferimento immediato va al Miles Davis elettrico, che nelle “working band” alle quali ti sei ispirato assumeva il ruolo di “regista”. È stato così anche per te? ''Non particolarmente, ho condotto le session in modo mutuato più da un certo tipo di direzione gestuale di derivazione colta europea sviluppatasi negli anni ‘50, certo non sono all'oscuro del modo di condurre di Miles. Credo di avere un mio preciso modo di condurre una band o una orchestra''. Puoi descriverci questo tuo modo di condurre una band? ''Utilizzo 6-7 segnali convenzionali, ad ognuno corrisponde una cosa ben precisa che può riguardare la dinamica, l'uscita o l'ingresso di uno strumento, il contrasto dinamico fra strumenti, una precisa figurazione ritmica, l'indirizzo del brano verso un determinato andamento ritmico, una sezione fiati improvvisata etc. Spesso accade anche che suggerisco all'orecchio dei musicisti frasi o idee sul momento, che devono poi suonare al mio segnale, ho anche sei segnali con la bocca e con gli occhi e anche questi corrispondono a determinati andamenti della musica.‎..''. La formazione di ''Memories Of Always'' è un ampio ensemble elettrico dalla marcata presenza ritmica, batteria e ben due percussionisti: in base a quale criterio hai selezionato i tuoi musicisti? ''Ho voluto due percussionisti per avere un sound stile ‘giungla’, senza indicazioni ritmiche precise, liberi di improvvisare, questo pulsare continuo ed a volte anche disordinato mi dà una energia immensa, amo il caos organizzato, nel disco precedente i percussionisti erano ben tre. I musicisti li seleziono per capacità di stare dentro la storia che voglio raccontare, devono essere capaci di improvvisare liberamente per dieci minuti seguendomi nella direzione che voglio dare alla musica. Devono essere bravi a mettere in pratica quello che ho nella testa e devono essere persone che stimo''. ''Memories Of Always'' è stato registrato dal vivo in studio: avevate già in mente qualche canovaccio o è stata improvvisazione allo stato brado? ''Le uniche cose scritte sono state le due serie dodecafoniche sulle quali sono stati costruiti ''The Sieve smells bad today'' (serie di Arnold Schönberg) e ''A series of coincidences'' (serie di Alfredo Casella) che poi, evidentemente, sono stati sviluppati in modo libero su questi due punti di riferimento, e le vamp del basso, il resto incluso il breve brano iniziale ''Ob-session'', di chiara matrice jazz-funk, è tutto liberamente improvvisato''. In ''Memories Of Always'' torna un classico di Miles dei primi anni ’70, ovvero ''Black Satin'', presente anche in ''My Way Through The Jungle'': quali sono i motivi di questa scelta? ''È un brano che mi piace molto e che appare in vesti diverse e con letture diverse nella mia scaletta anche dal vivo, è semplice, ossessivo e carico di energia e facilmente plasmabile al mio stato d'animo del momento''. Quando ci si avvicina a certo jazz elettrico imparentato con il funk, spesso si tira in ballo l’aggettivo “psichedelico”: lo senti vicino alla tua visione musicale? ''Non molto in verità, la psichedelia mi piace, ma i miei punti di riferimento sono nel jazz, tutto il jazz dal dixieland alle forme più radicali, e nella musica contemporanea di derivazione colta europea, senza tralasciare il lato groovy della musica afro-americana, come il funk, il soul e il rhythm ‘n’ blues''. Non sei nuovo all’ibridazione del jazz con altri generi, dal funk alla world music, addirittura dance e jungle: qual è il segreto per essere sempre se stessi in queste operazioni e non farsi prendere dalla facile contaminazione? ''Ti sembrerà una risposta banale, ma per essere sé stessi occorre essere sé stessi, io non mi sono mai legato ad uno stile, ad un musicista in particolare, non mi sono mai sentito attratto più di tanto da questo o quello, ho sempre ascoltato tutto e tutti con la massima attenzione ma ho sempre avuto una mia precisa idea di musica qualsiasi sia stato il progetto o la band. La contaminazione a mio avviso è vitale per il jazz e per la sua innovazione, e trovo avvilenti quei musicisti che suonano mainstream, è un po' come scrivere in stile mozartiano negli anni 2000. Semplicemente inutile, l'ha gia fatto magnificamente Mozart, uno spreco di neuroni e di energie, preferirò sempre un disco di Dizzy o di Clifford Brown, o se vuoi di Woody Shaw, ai nuovi e ripetitivi giovani leoni che suonano hard bop con qualche spruzzata di modernità''. Tu sei un trombettista di grande esperienza e operi tra composizione, concerti e didattica: pensi che il tuo strumento abbia ancora margini di innovazione? ''Credo che a livello tecnico non si possano fare passi in avanti fondamentali, a meno che non si tratti di virtuosismi circensi dei quali possiamo fare a meno con piacere, anche se su questo argomento probabilmente non sono certo il trombettista più indicato. L'elettronica può aiutare, ma anche su questo John Hassell e Toshinori Kondo hanno fatto passi da gigante e superarli non credo sia facile, Lester Bowie ha dato fondo alla ricerca di suoni anomali con risultati fantastici, e in Europa ci sono trombettisti interessanti che sperimentano partendo però dalla musica colta europea e non dal jazz. Il prossimo disco che farò sarà in “solo” cioè solo tromba e sovraincisioni di me stesso su me stesso, senza dubbio rischioso, ma senza rischi non c'è possibilità di incidere! Vedremo…''.