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22/11/2022   VITTORIO DE ANGELIS
  ''Affrontare generi e atmosfere con soluzioni nuove e diverse da quelle più prevedibili...''

Ciao Vittorio e bentornato in scena col nuovo album “Perspective”, successore di “Believe not belong” del 2020. Essendo un innovatore, In questi due anni che cambiamenti hai apportato alla tua musica? ''Non so se sono un innovatore, cerco solo di comporre senza vincolarmi troppo ai cliché tipici dei generi musicali. Rispetto al disco precedente, in cui ho utilizzato due batterie, qui ho cercato un suono più asciutto e definito su brani di impatto immediato, semplici ma mai banali. Così facendo, il carattere di ogni brano lo si intuisce da subito e, calcolando che il livello d’attenzione di tutti noi, me compreso, si sta riducendo sempre di più, risulta sempre più difficile tenere viva l’attenzione su un brano dall’inizio alla fine, soprattutto su brani strumentali. Anche per questo motivo ho trovato stimolante inserire brani vocali e, utilizzando melodie semplici, ho costruito, in contrapposizione, un terreno sonoro più interessante ed elaborato. Nel brano ''My own nay'', ad esempio, cantato da Leo Pesci, ho usato un vecchio piano elettrico Wurlitzer ed il contrabbasso con una batteria che suona in modo molto spigoloso. Sulla ballad ''Deep'', che canta Gabriella Di Capua, ho alternato dei momenti funk ‘’polizziotteschi’’ ad atmosfere ‘’soul’’ molto morbide. Inoltre nelle strutture e nello sviluppo dei brani, ho evitato assoli strumentali troppo prolissi''.

Correggimi se sbaglio, ma mi sembra che in Italia ogni tentativo di svecchiare i generi venga preso con tanta diffidenza e snobismo. Figuriamoci per il jazz: che ne pensi in merito? ''Sono d’accordo. All’estero la scena jazz crea comunità, crea tendenza e attira pubblico giovane e tutta la musica che preveda parti improvvisate o che non può essere catalogata la si considera jazz, nu-jazz o jazz contemporaneo. In Italia invece il Jazz è ancora una parola che spesso rimanda a spocchia e posa intellettuale. I critici, gli organizzatori di festival non conoscono le nuove tendenze e ancora storcono il naso se si parla di rap, di pop, di R&b o di elettronica combinati al jazz perché probabilmente per problemi anagrafici, culturali o nostalgici sono chiusi o legati ad una tradizione stantia da museo''.

Ovviamente, questi “freni” evolutivi non fanno mai crescere la scena musicale, come se ci fosse timore di abbandonare la tradizione melodica-popolare o ristretta ad un numero chiuso. Invece, se ci fosse davanti a te una folla dubbiosa, cosa gli diresti per avvicinarli a nuove sonorità? ''Direi come mi disse un musicista quando ero a New York, ’’music is music’’''.

Nel singolo “My own way”, in “Rose” e nella titletrack si ode la bella voce di Leo Pesci. Come sei riuscito a coinvolgerlo e cosa gli è piaciuto dei 3 brani? ''Leo Pesci è la dimostrazione che In Italia, oltre la fuga dei cervelli, si sta verificando anche la fuga di validi artisti. Napoletano di nascita, egli è ormai in pianta stabile a Londra da molti anni. Ci siamo conosciuti tramite un amico in comune ovvero il pianista Francesco Marziani, il quale sapendo che cercavo una voce per i miei brani mi fece ascoltare una registrazione di Leo. Io ne rimasi subito impressionato e lo contattai subito, inviandogli il mio materiale e cominciando così una collaborazione entusiasmante che spero prosegua in futuro''.

Oltre alla presenza del succitato Pesci e della singer Gabriella Capua, chi sono gli altri compagni di viaggio di “Perspective”? ''Gli altri musicisti sono professionisti molto attivi in Italia e all estero, nella scena jazz e non solo. Seby Burgio ha suonato il piano e si è occupato del missaggio e del mastering dell’album. Al basso ho contattato Daniele Sorrentino, tra i migliori contrabbassisti in Italia, ed infine alla batteria il validissimo Federico Scettri''.

Come consideri il concetto di “Prospettiva”: l’anelito di osservare le cose da altra angolatura, modificando il nostro modo di vedere, oppure provare ad interpretare uno stile con l’anima agli antipodi rispetto a quello che si ascolta e si percepisce? ''Sì, certo il concetto è proprio questo, cioè affrontare alcuni generi e alcune atmosfere con una mia personale prospettiva proponendo soluzioni nuove e diverse da quelle più prevedibili; ad esempio, per evitare la ridicola appropriazione culturale che oggi sta avvenendo con l’Afrobeat, per fini autocelebrativi o commerciali, ho cercato un approccio volutamente occidentale a questo genere, combinandolo con idee soul e jazzy. In ''Saharian Dancehall'', ad esempio, ho immaginato una pista da ballo nel deserto con un gruppo che suona melodie arabe su un ritmo funk incalzante. Allo stesso modo ho utilizzato elementi linguistici che ho interiorizzato maggiormente di alcuni stili e li ho combinati poi nelle mie composizioni''.

Di sicuro, si avverte il tuo estro fantasioso nell’osare innesti di hip-hop, afrobeat, miscelati nel jazz, ma con l’accortezza di non scimmiottare nulla e nessuno. Soddisfatto pienamente del risultato ottenuto? ''Infatti è proprio così, trovo fastidioso cercare di scimmiottare un genere proponendone una versione approssimativa per ‘'turisti’’ come si fa con il cibo italiano all’estero o come con la musica napoletana cantata da giapponesi. Ho preferito cercare di creare un sound diverso e personale e alla fine sono stato pienamente sodisfatto del risultato ottenuto che ha superato le aspettative iniziali anche grazie ai musicisti con cui ho registrato''.

Cosa ti prefiggi per il terzo album? Hai già in serbo “Prospettive” diverse? ''Sicuramente cercherò nuove prospettive e punti di vista alternativi''. (Max Casali)