Sono presenti 1259 interviste.

28/03/2024
CHIANLUCA
''Ogni data live è sempre stata un passo importante verso quello che sono oggi...''

24/03/2024
OTTODIX
''Se facessi avanguardia sonora pura, sarebbe la fine, non si capirebbe nulla...''

tutte le interviste


interviste

02/03/2015   NOT A GOOD SIGN
  'Se creiamo magia, se generiamo emozioni, l’obiettivo è raggiunto...'

Abbiamo incontrato Paolo ‘Ske’ Botta dei Not A Good Sign. Un disco d'esordio nel 2013 apprezzato unanimemente in tutto il mondo, il secondo a poco più di un anno di distanza: che differenze ci sono tra ''Not a Good sign'' e ''From a Distance''? ''Sicuramente la band è più matura e consapevole, la visione artistica più chiara e intellegibile. C’è una maggiore ricerca melodica e timbrica, ancor più evidenziati i giochi di luce e colore. Per ogni band il secondo album rappresenta un grande traguardo e soprattutto il momento in cui si mettono a fuoco esperienze e visioni, ci aspettiamo di poter appagare tutti coloro che hanno apprezzato il primo e di riuscire a conquistare altro pubblico anche non necessariamente e tipicamente prog''. In occasione del nuovo disco la band si presenta con un differente organico: l’arrivo di nuovi musicisti che tipo di opportunità vi ha offerto? ''Francesco Zago essenzialmente ha deciso di dare priorità a progetti a cui tiene di più come gli Yugen, a causa dei numerosi impegni non riusciva a seguire tutto e ha dovuto prendere questa decisione, anche se dolorosa. Chi ha scelto di intraprendere strade diverse dalle nostre verrà sempre considerato come un tassello importante e decisivo nella formazione del nostro sound, ciò nonostante vediamo l’arrivo di nuovi musicisti come una possibilità di arricchire le nostre scelte e di confrontarci anche con artisti che provengono da esperienze stilistiche e tecniche diverse. Il gruppo è ora più completo e maturo''. A differenza di molti vostri colleghi che prediligono quasi esclusivamente la componente strumentale, voi lasciate il giusto spazio alla voce, per quale motivo? ''Credo che le liriche di Zago siano parte integrante del progetto e della visione comunicativa del gruppo. Sicuramente rispetto ad altri progetti esclusivamente strumentali, l’utilizzo della voce ci aiuta ad esprimere più chiaramente un disagio, un messaggio o ad evocare delle sensazioni. C’è un mood generale molto ben definito, ma essenzialmente ogni brano ha una sua storia. Non è certamente un concept album''. Nel primo disco c'erano diversi ospiti: scelta confermata anche ora o avete fatto tutto da soli? ''Nel primo album abbiamo chiesto a Sharron Fortnam di contribuire in un brano che ritenevamo perfetto per una voce femminile e tipicamente inglese (il testo di ''Witchcraft by a Picture'' è un poema di John Donne), cercavamo quel tipo di voce e Sharron era certamente tra le nostre preferite. Quindi è stata una collaborazione nata in maniera quasi naturale, non abbiamo scelto ospiti per il semplice gusto di averli ma perché musicalmente grazie al loro contributo si poteva completare il disegno al meglio. Anche in ''From a Distance'' collaboriamo con dei musicisti che arricchiscono la nostra gamma di colori. Come nel precedente album, ritroviamo il maestro Maurizio Fasoli al pianoforte che dona un colore che ci è caro. Inoltre siamo stati aiutati da Eleonora Grampa e Jacopo Costa rispettivamente al corno inglese/oboe e al vibrafono/glockenspiel. Questi timbri impreziosiscono il sound della band e diventano in qualche occasione addirittura protagonisti assoluti''. Per i Not a Good Sign che rapporto e che combinazioni ci sono tra scrittura e improvvisazione? ''From a Distance'' è nato già composto oppure la band in studio ha contribuito con ulteriori invenzioni? ''Posto che come direzione generale ''Not a Good Sign'' è decisamente indirizzato verso la composizione scritta rispetto all'improvvisazione, credo che per rispondere propriamente sia necessario scindere i due momenti principali costitutivi del progetto. In “studio”, o più propriamente per il disco, la scrittura gioca un ruolo preponderante, anche se non dittatoriale. Infatti, come è sano e naturale, il materiale scritto viene provato e discusso dalla band prima di entrare in studio, in maniera da massimizzare l'espressività propria degli strumenti e degli strumentisti in relazione al momento musicale. In questa fase vengono più o meno consciamente delineati degli spazi individuali dove i musicisti scelgono (o sono chiamati, a seconda dei casi) ad esprimersi fuori dallo spartito. Il risultato è una commistione tra scrittura e improvvisazione in un rapporto di 90 e 10 circa. Diversamente accade dal vivo, dove questi (e altri) momenti vengono naturalmente espansi e per quanto possibile “spettacolarizzati”, proprio per regalare un respiro diverso ai brani, e cercare un dialogo più diretto con il pubblico. Non amiamo essere particolarmente legati alle versioni “studio” dei brani, abbiamo sempre cercato di far crescere la nostra musica portandola con noi nei luoghi che visitiamo, tra le persone per cui ci esibiamo''. Mi ha colpito una cosa sulla vostra pagina Facebook. Alla voce ''genere'' c'è la lapidaria dicitura ''music''... Spesso invece i gruppi di area prog mostrano con orgoglio la loro appartenenza! ''È bello pensare che siano gli ascoltatori a dire ciò che sei o che sensazioni sonore sei in grado di evocare. Spesso veniamo accostati a generi musicali totalmente opposti o addirittura alla fine di un concerto ci è capitato di sentire opinioni totalmente discordanti sulla nostra musica, ed è bello così! Quando si parla di musica di commistione troviamo sia molto limitante ancorarci ad un genere, preferiamo lasciare una libera interpretazione a chi ci ascolta. Se creiamo magia, se generiamo emozioni, l’obiettivo è raggiunto, l’etichetta è meno importante''. La vostra interpretazione del prog-rock spicca per la modernità: qual è il segreto per rendere questo genere fresco e poco nostalgico? ''Penso che dipenda tutto dai punti di vista. Non riesco a considerare Not a Good Sign completamente come un figlio della modernità, ci sono troppi riferimenti timbrici/compositivi alla stagione d'oro del prog '70 e non solo. D'altro canto, ci sono altrettanti aspetti musicali e di produzione che sono molto vicini a delle esperienze più moderne, a volte persino distanti dal rock. La freschezza ritengo risieda dunque nell'onestà dell'approccio, da un lato figlio del proprio tempo, dall'altro memore e portatore di memoria di una stagione musicale indimenticabile''. Negli ultimi tempi vi siete esibiti dal vivo con molti colleghi italiani e stranieri, dai Syndone ai Wobbler: com'è lo stato di salute del prog-rock oggi? ''Io credo che sia buono. Ci sono molte band validissime in grado di proporre e rielaborare con una veste più fresca e attuale questo genere. Il livello tecnico e compositivo rimane molto alto, spesso anche mediamente superiore agli anni ‘70, sono difficili i tempi, è difficile avere strategie di comunicazione vincenti. È complicatissimo proporre questa musica (e non solo) dal vivo, ci sono forse troppe proposte e troppo poco pubblico. Questo tende a rendere il movimento un po’ sfocato, ammesso e non concesso che di movimento si possa parlare. In altre parole, in generale la proposta musicale è sovradimensionata rispetto al bacino d'utenza. Di conseguenza più che interrogarsi sullo stato di salute della musica, occorrerebbe interrogarsi sullo stato di salute del pubblico, sia per il prog che per altri generi musicali''. Anche ''From a Distance'' esce con Fading Records, una delle etichette più apprezzate al mondo in area prog e avant-rock: quanto conta per un gruppo come il vostro far parte di una scuderia blasonata? ''In un ambiente relativamente piccolo e con una proposta musicale cosi diversificata anche in quelle che sono oggi nicchie di mercato, certamente avere la possibilità di essere riconosciuti non soltanto per la propria proposta musicale ma anche per l'appartenenza ad una etichetta di richiamo come Fading, aiuta. E aiuta anche il pubblico, che nel momento in cui trova sintonia con le scelte artistiche di questa o quell'etichetta, la prende come garanzia di qualità''. Per ''Flying Over Cities'' c'è anche un video: di cosa si tratta? ''Quella del video è certamente una novità per Not a Good Sign. Abbiamo sentito come importante la necessità di portare avanti un certo tipo di comunicazione anche a livello visivo, aspetto che sinora si era concretizzato solo in immagini. Riteniamo il video un ottimo veicolo per le emozioni, in particolare se legato alla musica. Il video di ''Flying Over Cities'' non narra un racconto preciso e delineato, piuttosto aiuta e si fa aiutare dalla musica e dal testo a trasmettere o a indurre degli stati d'animo. Questo brano in particolare contrappone a dei testi narranti una visione distopica del mondo, un movimento musicale dinamico, quasi frizzante''.