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16/02/2023   MORETTI
  ''Ora nella musica si rende necessario un approccio commerciale come Dio algoritmo richiede...''

Benvenuto. Arrivi al tuo primo album tramite un preludio che inizia nel 2022 con una serie di singoli spalmati nel tempo. Una scelta commerciale oppure hai voluto ponderar bene ogni singola mossa? ''Ciao, intanto grazie per lo spazio e la possibilità di ascolto. La decisione di far uscire i singoli a cadenza mensile proviene da un’esigenza discografica: ora come ora un singolo ha una durata promozionale proporzionalmente maggiore rispetto a quella di un intero album, ed essere presenti costantemente con un prodotto diverso e sempre nuovo dà una visibilità sulle piattaforme social che un solo prodotto molto più complesso - l’album - non darebbe. Ovviamente questa è solo una valutazione soggettiva scevra da ogni giudizio morale sulla questione. Personalmente non vorrei mai parlare di prodotti e social su quello che ancora dovrebbe essere una forma d’arte, ma purtroppo se si vuole tentare di rendere una propria canzone accessibile per visibilità a più persone possibili, si rende necessario un approccio commerciale come Dio algoritmo richiede''.

Il tuo album “Moretti ha fatto anche cose buone” ha un titolo curioso. Una sorta di auto-convincimento che, in fondo, non tutto ciò che fai è da accantonare? Come ti definiresti come persona e come artista? ''Parlare di sé è sempre complicato e presuppone che ci si abbia capito qualcosa; sicuramente non vivo un rapporto dualistico o dicotomico con il mio essere artista. Federico e Moretti sono due nomi della stessa persona, semplicemente quando salgo sul palco mi faccio chiamare Moretti per una scelta di raggiungibilità e immediatezza. Poi le definizioni le lascio alla Treccani, sono una persona che vive le proprie contraddizioni e le circostanze del reale, cercando una prospettiva diversa che diventa quasi inderogabilmente necessità d’espressione: e da qui mi propongo artista. Sì, esatto, il nome dell’album è una sorta di affermazione consolatoria, per dire e dirmi che la parte migliore di Moretti - e di Federico - è la sua formula espressiva''.

Cosa ti porti dentro dell’esperienza passata con i Five ‘o ‘Clock? Quanto è stata importante quella parentesi artistica? ''Alcuni studi neurologici oramai comprovati indicano che le onde cerebrali di un bambino hanno una frequenza assai più bassa rispetto a quelle di un adulto. È come se il bambino vivesse una sorta di ipnosi continua. Avevo circa tredici anni quando sono entrato nella mia prima band e sinceramente non ho alcun ricordo preciso di quell’esperienza. L’unica cosa che so dirti con certezza è che è stato molto formante imparare a suonare con gli altri prima di suonare per sé stessi. Poi abbiamo vinto un concorso, ci siamo esibiti all’Alcatraz di Milano che è uno dei palchi cittadini più importanti e forse questo mi ha permesso, nel futuro, di saper gestire bene l’ansia da prestazione. Poi secondo me è vero anche quello che si dice dei palchi importanti: più è numeroso il pubblico meno ti senti gli occhi addosso. Sta di fatto però che, per esempio, quando l’anno scorso ho partecipato a Musicultura sentivo poca pressione e probabilmente questo è dovuto a quell’esperienza di 12 anni fa''.

La tua carriera solista inizia nel 2013. Cosa hai fatto in questo decennio, prima di arrivare all’esordio sulla lunga distanza? ''Ho scritto tanto, ho suonato tanto in giro e da solo, mi sono innamorato, ho studiato, insomma ho passato un’adolescenza distruttiva e bellissima. Il primo contatto discografico l’ho avuto nel 2015 ma non ero pronto, le canzoni nemmeno e non se ne è fatto niente. Poi nel 2017 ho iniziato una collaborazione con una piccola casa discografica di Catania, nel 2018 è uscito un EP col mio nome di battesimo che credo non si trovi più in giro, la produzione era molto sperimentale, con un’impostazione spiccatamente elettronica che, per motivi di distanza, non avevo curato io e che non mi faceva impazzire. Nel frattempo ho iniziato a frequentare questa specie di produttore - Vincenzo Di Vincenzo io ti spacco il culo - un povero diavolo che pensava di essere Conny Plank e invece era un nano con la sindrome di Napoleone. Però aveva un certo ascendente su di me; pensa che per registrare un album con lui buttai via la proposta di farmelo produrre da Alessandro Fiori, uno dei cantautori più bravi che si possano trovare in Italia, nonché uno dei miei cantautori preferiti. Ovviamente l’album che produssi con Vincenzo suonava come lo zio ubriaco al matrimonio della nipote e lo cestinai immediatamente. Dopodiché a luglio 2020 ho incontrato le persone giuste, il mood giusto e con molta serenità posso dire che aver aspettato nove anni mi ha dato molte soddisfazioni''.

Nel disco affronti varie tematiche: ci accenni qualcosa? Ti piace più scrivere di cose attuali oppure non disdegni neanche racconti autobiografici e fantasiosi? ''Come scrivo nel booklet del disco, potremmo dividere l’album in due concept definiti e antitetici tra loro: il primo, domestico, ha caratteri più classicamente cantautorali e tratta principalmente di vicissitudini sentimentali di stampo genuinamente biografico. Il secondo concept, più sarcastico, parodistico e politico (nel senso più ampio della parola), tratta di tutto quello che proviene dall’esterno, quindi l’attualità, il tradimento, l’industria musicale. Sinceramente non mi sono mai posto la questione di cosa mi piaccia più scrivere, sicuramente è raro che io non parta da aspetti più o meno biografici, d’altra parte è capitato che volessi scrivere una storia inventata del tutto da me. Poi trovo di una difficoltà indescrivibile scrivere una canzone politica senza scadere in una retorica nauseante''.

Le sonorità dei brani rimandano a big come Vecchioni, Guccini, Camerini ma anche Brunori sas. Sono (anche) questi i tuoi personaggi ispirativi? ''Non solo le sonorità, in alcuni casi cito testualmente. L’apertura di ''Introduzione'' è ripresa dall’Introduzione dell’album ''Il tuffatore'' di Flavio Giurato. Il verso “Io non so difendermi da quello che provo” ne ''La Hit dell’estate'' è ripreso pari pari da ''Il chirurgo'' di Franco Fanigliulo. Il verso “Scendendo perdo i pezzi per le scale” in ''La verità'' è ripreso da ''Ultimo spettacolo'' di Vecchioni. E non sono solo omaggi, penso che se qualcuno ha scritto quello che vuoi scrivere anche tu meglio di te sia doveroso nei confronti della canzone e dell’ascoltatore rendergli al meglio possibile quello che vuoi esprimere. Non ho personaggi ispirativi nel senso stretto del termine, ascolto moltissimo cantautorato e questo mi influenza anche senza che io lo voglia. Poi certo sono legato direi quasi sentimentalmente ad alcuni album di Guccini, Vecchioni, De Gregori, Lolli e De André, i quali hanno davvero cambiato il mio modo di vedere la realtà e la canzone in generale''.

Ti eri preposto di presentare il disco scevro da onanismi qualunquistici ed intellettuali. Invece, poi, qual è stata la formula descrittiva che hai adottato e che ti ha pienamente soddisfatto? Ci sono imminenti date per un promo-tour? ''Poi sono scaduto nella descrizione fine a sé stessa: la formula più asettica e indigesta che esista. Che è anch’essa una forma abbastanza evidente di onanismo. Vero anche che parlare di sé e delle proprie canzoni senza essere un poco narcisisti sarebbe quasi impossibile. Chiudendo quindi non c’è stata una formula che mi abbia soddisfatto appieno. Per quanto riguarda i prossimi concerti, dopo quelli di questo autunno dove abbiamo avuto un ottimo feedback in termini di presenze ed entusiasmo, proseguiremo in primavera appena dopo l’uscita del mio prossimo singolo''. (Max Casali)