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08/11/2023   CLASSICA ORCHESTRA AFROBEAT
  ''La cura, la cooperazione e la spiritualità al posto della logica del profitto...''

L’ensemble di Marzo Zanotti, la Classica Orchestra Afrobeat, torna in scena con un nuovo disco dal titolo evocativo “Circles", disponibile anche in vinile. Aspettiamo tutti il video del singolo “Ka munu munu”, unico brano dentro cui compare la voce, firma della grandissima Rokia Traoré, una delle più importanti artiste africane. Aspettiamo la contaminazione visiva che arriva dai Mutoid di Santarcangelo di Romagna, aspettiamo di fare il giro del mondo e ci avviamo all’ennesimo rimpasto di sensazioni. Un disco che cambia ad ogni ascolto e che ad ogni ascolto apre a piani di lettura davvero personali e unici. Un suono che dal mondo arriva fino a noi per poi ripartire…

Un nuovo disco che rompe un po’ il concept del lavoro precedente o sbaglio? Ora torniamo all’uomo... ''In un certo senso è cosi, ma è un’umanità intesa come insieme cooperante, che ha abbandonato la dimensione materiale per volgere lo sguardo in alto. Un’umanità rigenerata, una speranza per il futuro''.

Aspettiamo il video dentro quella famosa “Macchina del tempo”. Sembra di incamminarci in un futuro distopico… ''Dovrebbe uscire tra poche settimane, abbiamo avuto delle lungaggini impreviste ma quello sarà, credo, il vero manifesto dell’album. L’opera dentro la quale l’abbiamo girato si trova nel campo dei Mutoids, tra sculture di metallo circolari, clessidre futuriste e materiali di upcycle. Grazie a tutti gli artisti del campo che ci hanno ospitato e al videomaker Francesco Giardini ci siamo creati un habitat suggestivo ed evocativo, lo stesso da cui è scaturito quest’album''.

E quindi ve lo chiedo sfacciatamente: cosa immaginate del futuro? Distruzione e ceneri da cui ricominciare o macchine del tempo volanti? ''Ah, bella domanda! Purtroppo, di questi tempi soprattutto, non c’è da aspettarsi gran che di buono dal futuro prossimo e le generazioni più giovani credo ne siano le più consapevoli e preoccupate. Penso al combiamento climatico, alle guerre, alle disuguaglianze, alle discriminazioni e in fondo al nostro modello di sviluppo che è per definizione fagocitante fino all’autodistruzione. Forse è proprio da questa assenza di prospettive che nasce la speranza di poter ripartire un giorno con presupposti diversi, che tengano in considerazione la cura, la cooperazione e la spiritualità al posto della logica del profitto e la competizione''.

Ed il suono di questo disco in che modo accoglie il futuro? ''Usiamo ad esempio uno strumento che genera paesaggi sonori incredibili, un lamellofono elettroacustico costruito dall’artigiano sardo Massimo Olla. In un certo senso il metallo è un elemento centrale dell’album: forgiato dalle mani dell’uomo e utilizzato per costruire strumenti musicali (mbira e gong ad esempio) ma anche per ricreare un nuovo mondo fisico grazie all’upcycle, vedi le scenografie che Nikki e Lyle dei Mutoids hanno creato per la messa in scena di 'Circles' o anche i gioielli che ha creato per noi Marcello Detti, ricavandoli da vecchi strumenti ad ottone''.

Nella tracklist, se non erro, troveremo anche dei traditional che arrivano da tempi e popoli lontani, vero? Quali sono e da dove arrivano? ''È vero. Nella tracklist c’è un brano non originale, un “modo” suonato da circa un migliaio di anni dal popolo Shona dello Zimbabwe, intitolato ''Nhemamusasa'', che significa “costruire una casa, un rifugio nel mezzo della selva”. Un brano che viene spesso suonato quando si inaugura una casa e si invitano amici e parenti, e quindi significa accoglienza, riparo e salvezza. Dopo aver passato un periodo a studiare la mbira in Zimbabwe ho deciso di azzardare un arrangiamento per il nostro ensemble, ispirandomi ai canti che ho ascoltato durante le cerimonie e le feste. E’ un brano a cui tengo molto e credo che rappresenti una parte importante della filosofia dietro a 'Circles'. A parte questo brano, ci sono alcuni rimandi sparsi a musiche tradizionali, ad esempio una introduzione di flauto ispirata alla musica copta in ''Debre Libanos 2037'', oltre a vari momenti percussivi che citano i sabar senegalesi o la musica gnawa del Marocco''.

Come si inciampa dentro connessioni così lontane dal nostro habitat? Questo disco, questo suono, questa scrittura, figlia del mondo perché nel mondo siete andati a cercarla oppure cosa? Come incontrate la chimurenga music, tamburi dei wolof del Senegal piuttosto che la collaborazione con Rokia Traoré? ''Mi reputo una persona molto curiosa e amo viaggiare. In più sono un fagocitatore di vinili e di musica in generale. Detto questo, ''Circles'' così come ''Polyphonie'' è frutto di estri compositivi diversi e io mi ritaglio il compito di dare coesione al tutto. Hai detto bene comunque, Zimbabwe e Senegal sono forse le due aree da cui abbiamo pescato di più questa volta. La collaborazione con Rokia è arrivata dopo anni che avevo scritto quel brano per lei (pensa che si è chiamato per anni provvisoriamente “For Rokia”). Quando finalmente sono riuscito a fargliela ascoltare Rokia ha voluto immediatamente cantarla. Non solo: la linea vocale e il testo sono suoi e, parlando di universo circolare, si inseriscono perfettamente nel concept di ''Circles''.