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17/10/2015   FRANCO BAGGIANI
  'Il jazz italiano all'estero è considerato, più di quanto facciamo noi stessi...'

Franco Baggiani n. 14: il nuovo ''Divergent Directions'' arricchisce la tua già nutrita discografia. Dopo il successo di ''Memories Of Always'' un altro album diretto, tagliente, senza mezzi termini. Che differenze ci sono tra questi due dischi? ''Nessuna differenza nell'approccio, l’improvvisazione è sempre preponderante, anche se questa volta c’è più scrittura rispetto a ''Memories'', la differenza fondamentale sta nel colore che ho voluto dare a questo lavoro, sicuramente più scuro e maggiormente introspettivo, si riascolta di tanto in tanto l’andamento in quattro che era scomparso nei lavori scorsi, e la formula del quintetto pianoless mi ha portato naturalmente verso un suono generale più vicino a quello delle avanguardie storiche''. Con ''Directions'' torni alla formula quintetto, senza chitarre ma con l’aggiunta di percussioni e sax baritono: un ensemble a suo modo anomalo. Che differenze ha questo gruppo rispetto al tuo precedente Chorus Quintet? ''Le differenze sono totali, l’unica cosa in comune è il numero di musicisti. Il Chorus Quintet era un quintetto in pieno stile hard bop, questo attuale è un quintetto che riporta ad altre formazioni, mi riferisco ai quartetti di Ornette Coleman, al trio Air, agli Art Ensemble. Quando manca lo strumento armonico automaticamente il sound assume dei colori particolari, curo molto la strumentazione in funzione del risultato finale, che in questo caso è molto più asciutto e leggibile rispetto al lavoro scorso, infatti ho tolto un percussionista, il chitarrista e ho sostituito il basso elettrico col contrabbasso. L'effetto "giungla" resta, ma il suono si sposta verso un idioma più vicino al mix fra free jazz storico e musica contemporanea del '900''. Nella realizzazione di ''Memories'' un termine ricorrente era “seriale”, in ''Directions'' c’è un brano dal titolo ''Una serie per tutti'': ancora una volta la composizione seriale è alla base del tuo lavoro? ''Diciamo che è parte del lavoro ma non è alla base: l'idea di estrapolare alcuni processi seriali, o di costruirli in modo autonomo, fa parte del mio approccio già dai primi anni 2000, che ho sempre affiancato alla ricerca su materiali che invece sono di pura continuazione dell'idioma jazzistico. Si può arrivare alle stesse soluzioni partendo da materiali completamente diversi''. ''Directions'' è stato registrato live in studio in una sola giornata: un lavoro del genere è preceduto da una sorta di “training” oppure si entra in sala e si suona? ''Escluso il bassista, che è la prima volta che registra con me, ma è già esperto e ben inserito nell'ambito del jazz più sperimentale, gli altri conoscono benissimo il mio modo di lavorare in studio, quindi non c'è stato bisogno di nessun tipo di training, abbiamo letto le parti scritte un paio di volte e poi ci siamo lanciati senza dubbi nel mare della musica''. Quello che ascoltiamo in ''Divergent Directions'' è il risultato "nudo e crudo" della seduta oppure sei intervenuto in post produzione? ''Sì, è il risultato nudo e crudo, dopo la registrazione sono solo intervenuto per tagliare il materiale in eccesso visto che avevo circa 100 minuti di musica e al massimo avrei potuto utilizzarne 60 circa. Tutto quello che si sente nel disco è tratto solo ed esclusivamente dalla seduta live in studio''. Spesso hai l’occasione di esibirti all’estero, com’è accaduto di recente in Spagna: il jazz italiano è tenuto in considerazione al di fuori dei confini nazionali? ''Sì, è considerato benissimo, direi molto di più di quanto non lo consideriamo noi stessi italiani (istituzioni in primis). In ogni luogo dove ho suonato ho percepito chiaramente la grande stima nei confronti miei e in generale dei musicisti italiani e, per assurdo, molti di noi hanno più opportunità all'estero che in Italia, diciamolo, invasa un po' troppo da stranieri, magari fortissimi e preparatissimi, ma che non hanno niente da dire se non il nome e cognome che fa figo…''. Quali sono i tuoi colleghi trombettisti attuali, italiani e stranieri, che consideri preparati, capaci e inventivi? E più in generale, cosa ascolta solitamente Franco Baggiani? ''Trombettisti preparati e capaci ce ne sono a decine, sia in Italia che all'estero, anche se trovo raramente qualcuno che mi emoziona, al di là dei soliti noti, bravi e storicamente ai vertici come Rava, Fresu, Boltro e adesso Bosso, ci sono tanti altri italiani bravi lo stesso che hanno avuto meno visibilità come Bassi, Pierobon, Boato, senza tralasciare il compianto Tamburini. Fra i creativi è interessante Aquino anche se non lo conosco molto, attenzione a Cosimo Boni, giovane e ancora non molto conosciuto ma già bravissimo, farà parlare di sè! Fra i trombettisti internazionali che riscuotono la mia attenzione posso menzionare Dave Douglas e Ambrose Akinmusire. Cosa ascolto? Molta musica contemporanea del '900 e spesso Ellington, Davis, Lee Morgan, Art Ensemble, Lester Bowie e amo infinitamente le colonne sonore dei polizieschi italiani anni '70 con le colonne sonore di Umiliani e Piccioni''. In una conversazione durante il periodo di ''Memories'' parlavi di un tuo nuovo album per sola tromba, totalmente sovrainciso: hai ancora bisogno di un gruppo alle spalle o sei pronto per questo progetto? ''Sì, hai ragione, questo è un lavoro già iniziato, come del resto ho già iniziato un nuovo lavoro con il nuovo trio (batteria, sax baritono e tromba). Ho già registrato alcune tracce e mi sono preso una pausa perchè un album solo tromba non solo è complesso da rendere interessante, ma sopra ogni cosa deve convincere me, e su alcune composizioni ci sto ancora lavorando perchè non sono fino in fondo convinto, credo finirò il tutto entro un paio di mesi al massimo, poi forse, mi concederò un album più rilassante, meno concettuale e più divertente. Vedremo!''.