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03/12/2024
27/11/2024 STANI LABONIA
''La musica, se vuole, sa essere violenta, si impone come necessità...''
Bentornato! Oltre quarant’anni di distanza dal tuo precedente album: quanto sei cambiato, nella vita e come autore, e quanto è cambiata la tua scrittura? ''Come si può non cambiare nella vita dopo 45 anni? É impossibile, così come è naturale che il cambiamento si rifletta nella scrittura. Ma forse questo è solo parzialmente vero perché, a pensarci bene, il filo conduttore è lo stesso. Cambia la forma musicale, l’estetica dei suoni, ma il tema guida non è poi così mutato: la drammaturgia dei sentimenti che era in ''Amarsi'' la si ritrova ancora in ''DiNuovo!''. Dico drammaturgia non a caso, perché non ho mai interpretato l’amore come un gioco o una frivolezza della vita, gioioso e luminoso. Prevale l’idea della fuga e della lontananza, dell’ambiguità, dell’attrazione e della perdita. Ma ovviamente l’amore è solo uno dei temi di quest’ultimo album. Preferisco declinarlo come sesso, piuttosto''.
Cosa ti ha spinto a ributtarti nel mercato discografico dopo un lasso di tempo così immenso? ''La musica stessa ha deciso per me. Non c’è stata alcuna decisione razionale. La musica, se vuole, sa essere violenta; si impone come necessità. Nel mio caso è stato il bisogno di ricomporre il legame con mio figlio Davide, musicista e pianista, morto senza che ci fosse neanche il tempo di farsene una ragione. Cosa per altro impossibile perché è innaturale che un padre sopravviva al proprio figlio...''.
Sei stato una figura importante nell’ambito del Naples Power, insieme a nomi come Pino Daniele, Enzo Avitabile, Alan Sorrenti e tanti altri. Oggi a Napoli, nella musica, ci sono quasi esclusivamente artisti neomelodici e rapper: è cambiata davvero così tanto la scena musicale? ''Direi di sì ma mi è difficile giudicare, anche perché non sono un osservatore attento dei nuovi fenomeni musicali. Ma non è un segno di vecchiaia. Era così anche al tempo di ''Amarsi''. Il mio discografico di allora, il notissimo Vincenzo Micocci, una volta mi fece ascoltare in anteprima un brano (''Generale'') e commentandolo dissi: «Mi ricorda qualcosa… come si chiama? De Gregori?». É blasfemo, lo so, ma io non seguo la musica che c’è in giro, all’epoca a malapena conoscevo gli autori italiani, figurarsi i napoletani oggi''.
Sei mesi di gestazione per questo nuovo album: difficoltà di scrittura, oppure voglia di partorire un “figlio perfetto”? ''Non mi pare un tempo lungo, ma poi la mia musica è imperfetta, è figlia del disordine, del mio caos interiore, va a strappi, sporca e discontinua''.
Il tuo disco d’esordio ''Amarsi'', nel frattempo, è diventato un album “cult”. Cosa provi oggi a riascoltarlo? ''Non ho il giradischi, ma quando capita di riascoltare qualcosa penso che fosse fuori dal mood dell’epoca, e forse questo lo rende attuale per orecchie aperte e disponibili alla sfida. Forse saprai che è stato ripubblicato nel 2022''.
In tutti questi anni lontano dalla musica sei stato un apprezzato docente universitario. Quanto è stato importante per te questo costante contatto con i giovani? ''Ho insegnato con grande passione. Se devo dirlo. sono stato eccentrico e spiazzante anche in questo campo. Mi sono divertito. Molto''.
Ora ci toccherà attendere altri quarant’anni per un nuovo album? ''Alzheimer permettendo...''. (Andrea Rossi)