Sono presenti 1419 interviste.
30/07/2025
29/07/2025 GIUSEPPE MICCOLI
''Il tempo delle cose fatte bene, con attenzione, con ascolto...''
L’uscita di ''Brucia il vento'', il nuovo singolo di Giuseppe Miccoli, apre una riflessione non banale sul ruolo della musica nel presente. In un momento storico segnato da conflitti armati, tensioni sociali e perdita di riferimenti comuni, il cantautore sceglie di affrontare questi argomenti senza filtri, ma con una scrittura misurata, che rifiuta il sensazionalismo e cerca una via più asciutta e razionale.
Registrato presso la PSR Factory sotto la guida di Guido Guglielminetti e con l’apporto pianistico di Carlo Gaudiello, ''Brucia il vento'' è un brano che non si impone con la forza della produzione o della melodia, ma con il peso specifico delle parole e con una costruzione musicale che accompagna senza invadere. Il risultato è un lavoro che invita alla concentrazione più che alla reazione immediata.
Miccoli conferma la direzione già intrapresa in progetti precedenti, con una scrittura che non separa il piano artistico da quello etico. I suoi testi non sono dichiarazioni programmatiche, ma strumenti per mettere a fuoco contraddizioni e domande che attraversano la realtà. Le immagini evocate nel brano parlano di violenza sistemica, di memoria storica e di perdita di umanità, ma senza indulgere nel patetismo o nell’enfasi.
Il tuo nuovo singolo ha un forte impatto sia musicale che testuale. In un brano che sembra richiamare la forza evocativa di De André o la cruda sincerità di Bertoli, qual è stato il punto di partenza: la melodia o le parole? ''Il punto di partenza sono state le parole, senza dubbio. Certe frasi mi sono venute in mente mentre guidavo, poi la melodia è arrivata subito dopo, quasi come un corpo che cercava voce. Avevo in mente quella capacità che ha ''Eppure soffia'' di Bertoli di mettere il mondo in discussione con semplicità disarmante, e anche la tensione poetica di brani di De Gregori o di De André come ''Generale'', o ''Fiume Sand Creek'', o ''Khorakhanè (A forza di essere vento)''. Non volevo fare una denuncia urlata, ma un racconto breve e sincero''.
“Brucia il vento” sembra un brano nato da un’urgenza, come certe ballate civili della tradizione cantautorale. Quanto c’è di personale e quanto di universale nel testo? ''Il brano nasce da un’urgenza personale. Per i conflitti che ci sfiorano ogni giorno, anche se sembrano lontani, ma proprio perché quel dolore è autentico, deve toccare e avere una dimensione collettiva. È come in ''Vento dal nulla'', specie nella versione cantata da De Gregori: è un vento dal nulla che porta la guerra, un presagio che arriva improvviso e trasforma la realtà in qualcosa di tragico e irreversibile. Allo stesso modo, ''Brucia il vento'' vuole raccontare quel senso di minaccia che attraversa i nostri tempi, ma anche il desiderio profondo di non restare in silenzio''.
Hai scelto di registrare presso la PSR Factory con un team di grande esperienza. In un contesto in cui molti si affidano a soluzioni digitali e veloci, cosa ha significato per te lavorare in uno spazio artigianale, quasi “analogico”? ''Lavorare alla PSR Factory è un ritorno all’essenza. Lì si respira il tempo delle cose fatte bene, con attenzione, con ascolto, senza trascurare le meraviglie della tecnologia, intendiamoci. Guido Guglielminetti, accanto al suo basso che fa aprire gli abissi ad ogni suo tocco, soprattutto ha portato una visione profonda, capace di dare al brano una struttura forte ma viva, e Carlo Gaudiello letteralmente, attraverso il pianoforte, valorizza con il suo tocco essenziale la voce del cantante. Mi ha ricordato l’approccio di certi dischi italiani, quelli in cui ogni suono aveva un senso — come nella produzione di Fossati. È stato un processo vero, non incapsulato da troppi algoritmi''.
In un panorama musicale dove spesso prevalgono leggerezza e disimpegno, la tua è una scelta coraggiosa. Ti senti un outsider? ''No, e non lo vivo come un isolamento il fatto la maggior parte dei cantanti dei mainstream parlino del proprio “micromondo” anziché concentrarsi sul “macromondo” che ci circonda. Il mio obiettivo è quello di coniugare questi due mondi. Si può parlare di guerra e odio, partendo da noi stessi. Quando canto “Distruggi tutti i muri distanti alti e duri che dividono gli oppressi e traccia una rotta senza chiedere permessi e spoglia i potenti per purificare il mondo dalle miserie e dagli stenti”, mi rivolgo al nostro ‘Io’ interiore: dobbiamo partire dal nostro Io, per cambiare il mondo. Gaber diceva che “libertà è partecipazione”, e io credo che anche fare musica sia una forma di partecipazione. Non cerco la nicchia, cerco l’autenticità''.
C’è una frase del testo che consideri il cuore della canzone? ''E’ un canzone “polpo”, perchè ha tre cuori, scherzo! Uno di questi è il finale del primo “inciso”. “Senza guerra non c’è storia, senza sangue non c’è gloria, e confondo il male con la memoria”. C’è chi ha commentato questo ultimo verso “come una frase potentissima”, lo ringrazio per questo. Racchiude il paradosso della nostra storia umana: glorifichiamo la violenza, mettiamo la distruzione nei libri, e spesso dimentichiamo chi ha davvero pagato il prezzo, ossia la storia dei perdenti, degli ultimi. È una frase che richiama il pensiero di Pasolini, la sua ossessione per la memoria e la sua denuncia del potere. Ogni volta che la canto, mi fa tremare un po’''.
Dopo questo brano, hai già in mente nuovi progetti o stai continuando a concentrarti sulla promozione di “Brucia il vento”? ''Al momento sto dando al brano tutto il tempo e lo spazio che merita. Ma sto anche scrivendo, perché la scrittura non si ferma mai. Nel frattempo, ho registrato un nuovo brano, sempre con Guido Guglielminetti, è un viaggio dentro la materia che più ci circonda in assoluto. Una materia che diventa metafora e l’identità si perde tra sogni pubblicitari, solitudine e rabbia. Non dico altro per ora''.