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04/12/2025
04/12/2025 GIOVANNI NUTI
''Credo che la musica non serva a raccontare la sofferenza, ma ad attraversarla insieme a chi ascolta...''
Quali sono state le sfide tecniche o emotive più grandi che ha dovuto affrontare durante la registrazione della voce per un brano così personale e sentito? ''La vera sfida è stata restare fragile. Non nascondermi dietro la tecnica per proteggermi. Ho dovuto cantare come si prega: senza difese. La voce, in questo brano, doveva essere vera. Ci sono stati momenti in cui era difficile continuare, perché l’emozione saliva e fermava il respiro. Ma lì ho capito che stavo andando nella direzione giusta: quando la voce trema non è un errore, è la verità che passa''.
Qual è l'eredità che spera questo brano, "A Carla", lascerà non solo in quanto omaggio, ma in quanto opera sulla trascendenza della vita? ''Vorrei che ''A Carla'' lasciasse una carezza, non una nostalgia. Non è un canto sulla fine, ma sull’espansione dell’essere. Carla, in questo brano, non scompare: si allarga. Se questa canzone riuscirà a togliere anche solo un grammo di paura a chi soffre per una perdita, allora avrà compiuto la sua missione''.
Quali sono gli elementi tecnici o emotivi che cerca di inserire nella sua voce quando affronta temi così delicati? ''Quando affronto temi così delicati, il primo elemento che cerco non è tecnico ma umano: il silenzio interiore. Se non entro in uno spazio di verità, la voce può essere perfetta ma non dire nulla. Dal punto di vista emotivo lavoro sulla vulnerabilità: non devo “proteggermi” mentre canto, ma espormi. Solo così chi ascolta può riconoscersi.
Sul piano tecnico, invece, scelgo di sottrarre più che aggiungere. Controllo molto il respiro perché è il vero veicolo dell’emozione: un respiro trattenuto racconta il dolore, uno che si apre racconta l’abbandono. Anche le imperfezioni diventano parte dell’interpretazione: un leggero cedimento, una rottura lieve, un filo di voce non sono difetti ma segni di vita.
Preferisco una nota imperfetta a una nota fredda. La tecnica, per me, è al servizio dell’espressione, non del virtuosismo.
Emotivamente cerco sempre un punto di grazia: non canto il dolore per esibirlo, ma per trasformarlo. Anche quando il testo parla di perdita, nella voce deve esserci uno spiraglio di luce. Perché credo che la musica non serva a raccontare la sofferenza, ma ad attraversarla insieme a chi ascolta''.